Lo scorso 13 giugno, a suggellare la fine delle attività, e
l’inizio della pausa estiva, si è svolto l’ultimo appuntamento del ciclo di incontri
sulla cultura italiana, che con piacere organizziamo ogni anno in collaborazione
con l’Università di Anversa.
Quest’anno la giornata conclusiva ha visto la presenza del
dottor Andrea De Luca, socio e amico della Dante, oltre che interessante
saggista, con un libro in prossima uscita presso l’editore Marsilio (La scienza, la morte, gli spiriti - Le
origini del romanzo noir nell'Italia fra Otto e Novecento).
Per l’occasione, il dottor De Luca ha però accantonato i
suoi studi specialistici sul romanzo, per coinvolgerci in un’indagine
linguistica dai toni decisamente più leggeri. Infatti, riproponendo alcuni dei
brani più celebri del panorama musicale italiano, dagli anni ’50 ad oggi, ci ha
fatto vedere, e ascoltare, cosa succede quando la lingua italiana incontra la
frase musicale.
De Luca è partito da Eduardo Bennato, che negli anni ’80
cantava sornione Sono solo canzonette,
per porci davanti a un interrogativo: la lingua italiana, quella del “blu dipinto di blu”, da sempre
apprezzata nel mondo per la sua cantabilità, si presta davvero così facilmente
alla composizione di brani musicali?
Sembrerebbe di no. Vediamo perché…
Come diceva Mogol: “Spesso una frase musicale termina con
l’accento sull’ultima nota, e il paroliere italiano è costretto ad impiegare un
monosillabo o una parola tronca. Né dell’uno né dell’altra, la lingua italiana
è molto fornita, soprattutto rispetto alla ricchezza del vocabolario francese
ed inglese”.
Il fatto che l’italiano sia una lingua ricca di parole
sdrucciole (il cui accento tonico ricade sulla terzultima sillaba, ad esempio: tàvolo) e assai povera di tronche (ad
esempio: felicità), rappresenta
dunque un limite per la stesura dei testi, a cui si aggiunge un’altra essenziale
caratteristica: l’italiano si legge esattamente come si scrive.
Ciò ha portato i nostri parolieri a far ricorso ad alcuni escamotage per ovviare al problema in
maniera creativa. Primo fra tutti, il largo impiego di verbi al futuro semplice: “Che
sarà, che sarà, che sarà…. che sarà della mia vita, chi lo sa?!”, cantavano
i Ricchi e Poveri. Oppure, come non citare il “Con te, partirò...” dell’immenso Andrea Bocelli?
Ma anche l’uso dei monosillabi,
di cui Vasco Rossi è diventato un maestro, e anche la principale fonte
d’ispirazione per le parodie, o la rottura
del periodo sintattico (enjambement),
espediente abusato dal rivoluzionario Adriano Celentano negli anni ’60 e
utilizzato in maniera originalissima da Tiziano Ferro, come nella canzone Xdono. Fino ad arrivare agli esempi più
fantasiosi, che coinvolgono l’impiego di parole sdrucciole, ma con effetto di rima ritmica, da Franco Battiato (Cerco un centro di gravità permanente) a
Umberto Tozzi (Gloria).
Le “rime a tutti i costi” di Renzo Arbore che con Ma la notte, no fa il verso proprio i
parolieri italiani, che si arrabattano per combinare le rime più estrose da far
tornare con la musica, spesso trascurando il senso delle parole: “al mattino è un po’ grigio se non c’è il
dentifricio, tu ti guardi allo specchio e ti sputi in un ecchio….”
E poi esempi di anafore
e catafore, inversioni sintattiche e
troncamenti, supportati dai ritmi
allegri e spensierati di Albano e Romina, dagli acuti degli indissolubili Pooh,
dalle dolci melodie del principe De Gregori fino all’italianissimo Toto
Cutugno. Per passare infine agli incastri tra dialettismi e forestierismi,
diventati il simbolo della duttilità linguistica degli italiani, che, come si
sa, se da un lato ci hanno messo del tempo per riuscire a padroneggiare la
propria lingua, dall’altro si sono sempre dimostrati aperti nell’assorbire
dalle culture con cui entravano in contatto, ovviamente in un modo del tutto
originale: “Tu vuo’ fa’ ll’americano… ma
si nato in Italy’… tu abball’ o’ rocchenrolll, tu giochi a baisiboll, ma e sold
p’ e’ Camel chi te li dà? La borsetta di mammà!” (Renato Carosone)
Una conferenza istruttiva, ma anche divertente, in cui non
si è potuto far a meno di battere il tempo con i piedi o, per i più temerari,
di intonare qualche ritornello. Se non altro per omaggiare la bella Marina di Rocco Granata, che non lo deve
rovinare… “oh no, no, no, no, no….”
La Dante augura a tutti voi di trascorrere una felice
estate, magari ascoltando un po’ di musica italiana e, perché no, stavolta facendo
anche un po’ più di attenzione ai testi… chissà quale altro escamotage potreste scoprire!
Al prossimo anno,
Rossella Pensiero
Vedere passare tutte queste attività interessantissime senza essere in grado di partecipare è molto frustrante! Felice estate anche a voi!
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