Il
romanzo I miei stupidi intenti racconta la vita di una faina. È la storia di
un animale diverso da tutti. Archy è nato in una notte d'inverno. Dopo la morte
del padre vive in povertà con la madre e quattro fratelli e sorelle. Si ferisce
in una caduta e diventa zoppo ,
dopo di che, diventa inutile per sua madre e lei lo scambia con la volpe
Salomon per un pollo e mezzo. Il suo nuovo padrone è una vecchia volpe piena di
segreti, che vive in cima a una collina. Gli animali in questo libro parlano,
usano i piatti per il cibo, tavoli, letti, ma il loro mondo rimane una lotta
per la sopravvivenza, dura e spietata, come d'altronde è la natura.
Inizialmente,
Archy viene trattato crudelmente dalla volpe, ma un giorno racconta ad Archy di
Dio. Salomon ha un segreto: un libro sulla parola di Dio. La volpe
sa leggere e scrivere e insegna anche Archy a leggere e scrivere. Archy
prende così coscienza della morte e della crudeltà della giustizia
divina. Non è più un semplice animale che vive solo nel presente. Sa quale sarà
la sua destinazione finale: la morte. Si accontenta di essere prima allievo e
poi maestro di questo sapere segreto.
Il
romanzo di Zannoni si sviluppa così in una scelta fra l'essere animale e
l'essere umano. Il mondo animale è quello della sopravvivenza, dell’istinto,
dell’incoscienza. Appare come una crudeltà ma la natura è così. L’umano
invece è tutto ciò che è consapevole e guidato dal suo destino. L'uomo
è superiore – per elezione divina – nella comprensione del mondo ma anche
debole nel continuo ripensare all’esistenza razionale. Archy si sente
intrappolato tra le sue intuizioni acquisite e il suo istinto. Desidera essere
un vero animale, libero dalla maledizione della consapevolezza della propria
mortalità. Archy dice: "I grandi dilemmi che me avevano afflitto sono:
il Prima e il Dopo, Dio e la Morte". Questi non sono problemi in
un'esistenza da animale. Alla fine del libro, davanti alla morte,
Archy ha avuto il coraggio di sentirsi un vero animale.
La
conoscenza è forse una condanna? L’ignoranza è una forza? Queste domande esistenziali sono destinate anche al lettore. Per
quanto riguarda a Archy, lui non guadagna niente dalla parola di Dio; non si
illude come Solomon di avere davanti a sé un destino di salvezza. Alla
faina-apprendista non resta che una cosa, l’unico lascito del padrone e
maestro: la scrittura. Finisce di scrivere la propria storia. Dice: “Più scrivo, più l’ossessione
della morte si fa leggera. La sconfiggo ad ogni pagina, specchiandomi nel
colore, nelle linee che traccio”. La scrittura ci può salvare o,
quantomeno, può farci illudere di star sconfiggendo la morte mentre lasciamo un
marchio indelebile per i posteri.