lunedì 23 aprile 2018

Giornate del Friuli Venezia Giulia - Lo studio di Marc Toch sul fronte italiano durante la Grande Guerra

Il nostro socio, il professor Marc Toch, ha preparato un opuscolo di 16 pagine dedicato alla Grande Guerra in Italia. Il Friuli Venezia Giulia è stato teatro di sanguinose battaglie e lo studio del professor Toch cerca di illustrare e sintetizzare quanto avvenuto in quegli anni, con linguaggio chiaro e narrazione avvincente.
L'intervento del prof. Toch avrà luogo il 28 aprile mattina, ma nel frattempo, potete scaricare da questo link il testo preparato per l'occasione.

Link al pdf di sedici pagine (in nederlandese)

La Dante di Anversa ringrazia dal profondo la disponibilità del professor Toch e la gentile concessione fattaci per utilizzare i materiali da lui raccolti.



martedì 17 aprile 2018

Melania Mereu, Erasmus presso La Dante di Anversa


Mi chiamo Melania, ho 24 anni e sto per concludere i miei studi di mediazione linguistica presso l’Università di Cagliari. Amo molto viaggiare e imparare nuove lingue, immergermi in culture diverse e scoprirne usanze e tradizioni. Per questo motivo, ho deciso di partecipare al programma Erasmus+, il quale mi ha permesso di trascorrere un periodo di studio prima in Polonia, presso l’Università Pedagogica di Cracovia e successivamente in Belgio, presso l’Università di Anversa. La mia esperienza ad Anversa è stata magica, unica e indimenticabile. È proprio per questo che ho deciso di svolgere un ulteriore Erasmus, stavolta per tirocinio, in questa bellissima città e sono molto grata alla Dante per avermi concesso questa opportunità.



Nonostante la mia passione per le altre culture, non dimentico mai le mie radici. La mia regione, la Sardegna, offre dei paesaggi mozzafiato, un mare cristallino, pietanze e sapori inimitabili. Non a caso, tutti coloro che la visitano ne rimangono affascinati.
Per concludere, sono entusiasta di dare il mio contributo alla Dante e spero anche di portare un pizzico di Sardegna nelle vostre vite. Tot ziens!

lunedì 16 aprile 2018

Doppio sguardo sulla Grande Guerra



Il 28 aprile si chiude la tre giorni dedicata a questa splendida parte d'Italia e lo facciamo con una degustazione di prodotti tipici (alle ore 10:00), con due conferenze (una in nederlandese sulla Grande Guerra, a cura di Marc Toch, alle ore 11:00, e un'altra in italiano a cura del prof. dr. Rosario Gennaro, dell'Universiteit Antwerpen, sulla poetica ungarettiana, alle ore 15:00).
Il documentario edito dalla Cineteca del Friuli verrà proiettato in due parti, la prima alle 12:00 e la seconda alle 16:30.

Il Ragazzo Invisibile - Trailer Ufficiale



Giornate del Friuli Venezia Giulia, proiezione alle ore 16:30 (27/04), preceduta da una conferenza sui grandi scrittori del Friuli Venezia Giulia, a cura di Sara Lovisa. Vi aspettiamo nella sala De National per questo viaggio virtuale, non mancate!

COME DIO COMANDA - di Gabriele Salvatores - TRAILER



Giornate del Friuli Venezia Giulia, giorno 27 aprile, proiezione alle ore 11:00, preceduta da una conferenza a cura di Michele Mascarin. L'architetto Mascarin è anche l'autore delle foto presentate nella mostra Tor a tor pàl Friûl, visitabile ovviamente nella zaal De National. Prenotate subito scrivendoci!

La Ragazza del Lago - Trailer



Giornate del Friuli Venezia Giulia, proiezione alle ore 20:30, preceduta da una conferenza sulle bellezze della Regione a cura di Sara Lovisa. E con un bicchiere di prosecco compreso nel prezzo del biglietto. Da non perdere!

venerdì 13 aprile 2018

Mercoledì 18 aprile 2018 – ore 18: presentazione del saggio di Alessandro Masi Idealismo e opportunismo della cultura italiana. 1943-1948 (Mursia, 2018) Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea Viale delle Belle Arti n. 131 - Roma


Sono passati 70 anni dalle elezioni politiche del 18 aprile 1948, memorabili per la schiacciante vittoria della Democrazia Cristiana, che non avrebbe avuto eguali nella storia del Novecento. Sulla sonora sconfitta del Partito Comunista e di quello Socialista, uniti nel Fronte Democratico Popolare, influì la scissione socialdemocratica del ’47, guidata da Saragat. Sullo sfondo i problemi legati ai rapporti tra la politica e la cultura impegnate entrambe nella ricostruzione di un Paese uscito distrutto dalla guerra e profondamente lacerato nella coscienza civile. 
Il 18 aprile 2018 (ore 18), a Roma, nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea si parlerà di questo e di altro nella presentazione del libro Idealismo e opportunismo della cultura italiana. 1943-1948 (Mursia, 2018) di Alessandro Masi, storico dell’arte, giornalista e Segretario Generale della Società Dante Alighieri.
La prefazione è del prof. Andrea Riccardi, storico del mondo contemporaneo e presidente della Dante: «In questi “magici” cinque anni, dal 1943 al 1948, mentre l’Italia soffre e combatte, si sviluppa una febbre di vita nuova e ricostruzione. Allora prende corpo una storia di rapporti tra la politica e la cultura che dura per tutta la prima Repubblica.» Si tratta di rapporti sviluppati nell’arco di un periodo breve, ma cruciale, tra gli interrogativi sul ruolo degli individui di fronte alla storia e sulla capacità della letteratura di rappresentare la fase storica appena conclusa. La politica italiana si misurava con la difficile situazione post-bellica.
Alla presentazione del 18 aprile, con l’autore, ci saranno anche il prof. Andrea Riccardi e il filosofo Giacomo Marramao, Ordinario di Filosofia Teoretica nell’Università di Roma Tre, e il docente e critico d’arte Marco Di Capua. Moderazione a cura del giornalista di Radio Radicale Massimo Bordin.



Autore: Alessandro Masi
Titolo: Idealismo e opportunismo della cultura italiana. 1943-1948
Editore: Ugo Mursia Editore
Data di pubblicazione: marzo 2018
Pagine: 506
Isbn: 9788842559290


giovedì 12 aprile 2018

De dagen van Friuli Venezia Giulia



Dante Alighieri Antwerpen wil een bepaalde Italiaanse regio in de bloemetjes zetten: Friuli Venezia Giulia. Waarom? Omdat de regio op cultureel vlak veel te bieden heeft en ook omdat de plaats is geweest waar vele strijden van de WOI plaats hebben gevonden. • De happening is in drie dagen verdeeld, met een fototentoonstelling, vertoningen en voordrachten, allemaal georganiseerd door Universiteit Antwerpen en Dante Alighieri Antwerpen, in samenwerking met Zaal National. • Er zijn kleine degustaties voorzien. Alle onderdelen van de driedaagse happening zijn toegankelijk tegen betaling. • Er is de mogelijkheid om een abonnement voor alle onderdelen te kopen. De opening vindt plaats op donderdag 26 april en eindigt op zaterdag 28 april. Programma Opening, onderdeel 1 Donderdag 26/04, om 19.00 - Una proposta di viaggio in Friuli: praktische info voor de Belgische toerist – 60’ (Sara Lovisa, voordracht) Vertoning om 20u30 - La ragazza del lago – film, 95’, it. gesproken, ondertiteling in eng. Bij aankomst is er een gratis glaasje prosecco Onderdeel 2 Vrijdag 27 april (Friuli Venezia Giulia door de ogen van Salvatores, Italiaanse regisseur) om 10.00 – Il cammino della Concordia: architettura e religione in Friuli VenezziaGilia (Michele, voordracht) om 11:00 – Come dio comanda 95’, it. gesproken, ondertiteling in eng. Onderdeel 3 - Vrijdag 27 april om 15u30 – Il Friuli Venezia Giulia letterario: gli itinerari sulle tracce di Nievo, Percoto e Pasolini – 60’ (Sara Lovisa, voordracht); om 16.30, vertoning – Il ragazzo invisibile – film, 100’, it. gesproken, ond. eng. Onderdeel 4 - Zaterdag 28 april om 10.00 - A tavola! Alla scoperta dei sapori friulani – 60’ (Sara, voordracht) om 11.00 – WOI, voordracht door prof. Marc Toch (in Nederlands), 50’ om 12:00 – Vertoning Doppio sguardo sulla grande guerra, 60’ (stille films) Onderdeel 5 Zaterdag 28 om 15.00 - prof. Rosario Gennaro over Ungaretti (dichter) en de verhouding tussen Cinema en WOI - 60’ (prof. Rosario Gennaro, Universiteit Antwerpen) om 16.30 – Vertoning La Grande Guerra, 130’, Italiaans gesproken met ond. in it. Vrijdag en zaterdag is er een gratis espresso Illy, in de toegangsprijs inbegrepen. Toegangsprijzen per onderdeel: 4€ Leden Dante Alighieri / 6€ Studenten Italiaans en buurtbewoners / 8€ alle anderen Abbonnement: 15€ Leden Dante Alighieri / 25€ Studenten Italiaans en buurtbewoners / 30€ alle anderen

TVATT: intervista a Luigi Morra





Nella seconda parte dell’intervista al cast di TVATT, vi proponiamo il pensiero del regista Luigi Morra… buona lettura!

-Come nasce lo spettacolo e quanto c’è di autobiografico? In che modo l’esperienza personale del regista si riflette ad esempio nel brano che da ultimo sembra dare significato all’intera rappresentazione?

Lo spettacolo nasce da una un’esigenza che porto dentro da diversi anni: trasformare le energie di una determinata materia in performance teatrale. La curiosità che mi ha portato a TVATT è certamente legata a esperienze osservate, vissute indirettamente e a tratti anche direttamente, ma non per questo definirei il lavoro autobiografico. Ci sono io sicuramente, ma a questo non si sfugge mai, quando si scrive e si sta in scena.  Il testo finale l’ho scritto per il primo esperimento di TVATT, una breve performance presentata a Lunarte nel 2014.  Avevo una serie di spunti su cui improvvisare, alcune primissime registrazioni, il microfono, gli zoccoli e questo testo. Sviluppando il lavoro, quel testo è finito in secondo piano e la necessità di farlo quasi scomparire la sveliamo in scena.



-Lo spettacolo circola in Italia già da alcuni anni e col tempo si è arricchito di espedienti performativi diversi: l’interazione con il pubblico, il monologo, l’utilizzo della loop station, il contributo video, come a voler sfruttare al massimo tutti mezzi che il teatro mette a disposizione, in maniera ampia ma ragionata.
A proposito del contributo video, qual è il valore che questo aggiunge alla narrazione? Cosa raccontano quelle immagini che non poteva essere affidato alla mera voce degli attori?

La dimensione del video, curato da Domenico Catano, aggiunge un momento di  linguaggio tra il televisivo e il documentaristico. Il lavoro sulle immagini video rievoca anche i territori trattati e crea raccordi con alcuni elementi della scena, inoltre il video mette una vera e propria pausa all’azione degli attori, crea un clima sospeso in cui noi stessi in scena ci fermiamo per guardare il filmato.



-Sul palco si fa un uso disinvolto della tecnologia, per quanto riguarda la musica però hai optato per una performance dal vivo, in cui i tre elementi dell’orchestra (pianoforte, viola e batteria) reagiscono alle emozioni degli attori modulando la loro intensità su richiesta, a seconda dell’andatura del racconto.
Come nasce la collaborazione con i Camera? È il primo progetto che realizzate insieme?

Camera è un progetto che mi vede direttamente coinvolto, insieme a Marco, Antonio e Agostino lavoriamo da diversi anni a un’idea di musica che incontra il teatro. Con Etérnit abbiamo prodotto due lavori discografici dei Camera.  Lo spettacolo non nasce con l’idea ferma delle musiche suonate dal vivo, è una possibilità che consideriamo in alcune occasioni, come è stato per il tour tra Belgio e Olanda.



-Tu sei regista “uno e trino”, presente fuori e dentro la scena e finanche nella pseudo-intervista di post produzione proiettata nel video.
I continui momenti in cui il personaggio-regista interrompe la narrazione, dirigendo attori improvvisati presi tra il pubblico, spiegando la psicologia del “violento” o discutendo con gli altri personaggi sulle scelte drammaturgiche, restituiscono allo spettatore l’idea di star assistendo alla prova generale di un’opera in fieri più che a un’esperienza compiuta. Come motiva il regista-regista questa esigenza di ricorrere al non finito? 

In TVATT i concetti di “imprevedibile” e “interrotto” sembrano prendere il posto di “inizio” e “fine”. Se ci pensi, le risse, le mazzate, sono un po’ così: una cena composta al ristorante può diventare all’improvviso un circo degli schiaffi e un attimo dopo tornare ad essere una cena al ristorante.  



-Questa è la prima volta che lo spettacolo viene proposto all’estero, quali sono le difficoltà (se ce ne sono state) che avete riscontrato nel confronto con un pubblico straniero? Penso ad esempio alla lingua, all’uso spinto di un italiano regionale che spesso risulta di difficile comprensione anche per alcuni italiani. Avete in qualche modo riadattato i testi, smussando le espressioni più oscure, o non ce n’è stato bisogno ritenendo che la musica, la mimica e l’espressività vocale abbiano comunque reso il senso dell’opera?

La dimensione performativa dello spettacolo, specie nella parte che coinvolge attivamente il pubblico, ci ha portati a rapportarci con un pubblico straniero giocando proprio con la consapevolezza di questo fattore. Il dialetto marcato vuole mettere un confine, un muro, determina un codice netto che sembra voler dire “se non capisci non è un mio problema”; al contempo, in questo clima, la difficoltà di farsi comprendere diventa una sfida quasi del “personaggio”, che va a caricare la dimensione narrativa e drammaturgica fatta appunto di gesti, immagini, suoni e musicalità del linguaggio.



-Il titolo Tvatt allude a una specifica realtà territoriale, quella campana e provinciale, che da subito si manifesta nel linguaggio, nelle posture e nei richiami narrativi, come se l’energia che esplode in violenza quando la propria individualità urta con quella degli altri potesse essere circoscritta geograficamente.
Sappiamo invece che certe dinamiche sono universali (basti solo pensare ai banlieue francesi) e da qui parte la precisa scelta di presentare l’opera in luoghi aperti a riflessioni culturali di ampio raggio, come La Dante di Anversa e gli Istituti Italiani di Cultura di Bruxelles e Amsterdam. Dovendo però pensare anche a un altro tipo di pubblico potenziale, italiano o straniero, a chi ritieni possa indirizzarsi la vostra pièce?

Partire da un linguaggio circoscritto per raccontare una questione diffusa a livello globale è quello che ci interessa forse di più.  Nella pièce elemento fondamentale è proprio il feedback del pubblico, sia quando esso è più vicino alle tematiche per questioni geografiche o personali, sia quando lo sguardo appare distaccato e diventa quasi un’indagine antropologica. Può sembrare ovvio, anzi lo è, ma mi piacerebbe portare TVATT in Inghilterra, per approfondire concretamente il ponte che proviamo a creare tra TVATT e East e West.


A cura di Rossella Pensiero


martedì 10 aprile 2018

Palestra didattica Anversa 24 marzo 2018


Sabato 24 marzo abbiamo avuto il piacere di collaborare alla prima edizione dell’evento Palestra Didattica organizzato da Casa delle Lingue Edizioni. La nota casa editrice che si occupa di didattica di lingua italiana a stranieri è approdata ad Anversa per una giornata di formazione dedicata per l’appunto agli insegnanti di italiano del Belgio e dell’Olanda.



Sono stati affrontati diversi temi, primo su tutti quello della scrittura, che talvolta viene trascurata a discapito dell’oralità. Marilisa Birello, ricercatrice presso l’Escola d'Idiomes Moderns-Universidad di Barcelona e collaboratrice per Casa delle Lingue, si è interrogata sul bisogno connaturato nell’individuo di comunicare tramite la parola scritta, in quanto è il punto di partenza per il parlato e rappresenta una situazione reale, poiché vi è la necessità di trasmettere un messaggio. Essa racchiude tutte le competenze, comunicative, linguistiche e testuali e richiede di mettere in atto la conoscenza del “saper fare”, di creare  ovvero un testo che possa rendere al meglio l’espressione linguistica. Proponendo ai partecipanti di disegnare la propria casa, Marilisa ci ha fatto vestire i panni dello studente di italiano invitandoci a riflettere sulle informazioni che deve organizzare per dar vita ad un disegno-testo coeso e coerente.



Riallacciandosi alla scrittura della lingua, in particolar modo alla sua traduzione, il nostro presidente Emiliano Manzillo ha illustrato una proposta di lezione incentrata sul tema della resa linguistica in italiano di film stranieri. Ha suggerito, in un secondo momento, il confronto tra letteratura e cinema, partendo dalla lettura di due incipit di due romanzi di Niccolò Ammaniti, entrambi trasposti sul grande schermo.



Nel pomeriggio, la formazione è proseguita con l’intervento di Camilla Spaliviero, dottoranda dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, riguardo la didattica della letteratura. Partendo da un racconto di Italo Calvino, Camilla ha esposto un’unità didattica ben organizzata e articolata, coinvolgendoci nella sua risoluzione. Ha alternato così momenti di teoria ad esercizi pratici, giustificando l’importanza nel presentare un testo letterario ad una classe di italiano per stranieri.



L’ultima relazione, a cura di Sara Lovisa, ha invece affrontato l’aspetto musicale nella didattica dell’italiano LS, soffermandosi su tre possibili lezioni costruite attorno al brano di una canzone, mostrando come sia possibile fare lezione e trasmettere contenuti usando materiale molto vicino alla sfera vitale dello studente.



Una piacevole giornata di aggiornamento dunque, che è stata anche un’occasione per condividere esperienze e pareri circa l’insegnamento della lingua e cultura italiana tra persone motivate e coinvolte, come è apparso dalla partecipazione durante i vari interventi.

Sara Lovisa

lunedì 9 aprile 2018

Club di lettura - Doppio Sguardo


E se l’occhio fotografico fosse anche narrativo? Se raccontare una città attraverso i suoi scorci fosse il vero modo di renderla leggibile? Questa è l’impresa che compie Silvio Perrella su Napoli, la sua Città d’elezione, in Doppio sguardo, edito da Bompiani, il libro protagonista del club di lettura di sabato 24 febbraio presso la libreria De Groene Waterman.


Assieme ad un gruppo di soci interessati, ci siamo lasciati prendere per mano dall’autore, un autentico «camminatore di città», e condurre nei luoghi segreti e nascosti di una Napoli che non è mai apparsa così sfaccettata e complessa. Perrella sa immortalare il momento e lo sa giustificare con un bagaglio vastissimo di letture, creando dei legami letterari che fanno incontrare scrittori di un intero millennio. La formazione calviniana, come lui stesso chiarisce, gli ha permesso di sviluppare in modo privilegiato la vista, divenendo un flaneûr dedito alla contemplazione, ricordando il personaggio di Italo Calvino Palomar che, dal suo terrazzo romano, osserva le geometrie della città sottostante, seguendo i profili della capitale italiana.


Tra le pagine di Doppio Sguardo, il primo sguardo tocca la superficie, il secondo si addentra e perfora la parete, interpretando, immaginando, giustificando la bellezza, il degrado, lo splendore e la decadenza di una città parlante, che possiede un linguaggio e sa come esprimersi attraverso oggetti urbani, luci, colori e la collocazione stessa degli edifici. L’anima di Napoli, in modo velato e mai diretto, diventa accessibile e riconoscibile grazie all’orientamento visivo offerto da Perrella.

Nel corso dell’incontro, alla parola e all’immagine è stata alternata anche la musica, proseguendo così il filone canoro della tradizione napoletana, iniziato con il documentario proiettato recentemente alla Klappei, Passione di John Turturro. Sulle note di Pino Daniele, Sergio Bruni e Teresa De Sio, i presenti si sono confrontati con testi in dialetto che presentavano episodi di criminalità, solo ipotizzata, come nella canzone di Aumm aumma, confessioni omosessuali e transessuali coraggiosamente affrontate in Chillo è nu buono guaglione e la malinconia, la sofferenza, la difficoltà nel ricostruire una città dopo il terremoto, seguendo le parole di Bruni in Napul’è mille ferite.

Dall’immagine alla scrittura, approdando alla musica: un’alternanza sensoriale che ha fatto immergere i nostri partecipanti in un’autentica atmosfera partenopea.

Sara Lovisa



TVATT: l’interazione dello spettacolo come cifra del contemporaneo e disvelamento catartico dell’Io nel carnevalesco.


Il carnevale, in opposizione alla festa ufficiale, era il trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalla verità dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù. Era l’autentica festa del tempo, del divenire, degli avvicendamenti e del rinnovamento. Si opponeva a ogni perpetuazione, a ogni carattere definitivo e a ogni fine. Volgeva il suo sguardo all’avvenire incompiuto.
M. Bachtin



Dagli episodi della vita possono nascere idee, spunti di riflessione e storie da raccontare, con personaggi propri le cui vicende si intrecciano nel fluire delle narrazioni. Attraverso il processo drammaturgico è possibile seguire l’arco del personaggio, la sua evoluzione e i valori di cui è portatore, nel bene o nel male.

Durante le giornate del 12 e 13 marzo si è tenuto lo spettacolo TVATT ad Anversa, promosso dalla Società Dante Alighieri di Anversa, al Theather ‘t Klokhuis. Lo spettacolo si è tenuto anche il 14 marzo a Bruxelles e il 15 marzo ad Amsterdam presso gli Istituti Italiani di Cultura.

TVATT è l’acronimo di teorie violente aprioristiche e territoriali, ed è un’espressione usata nei dialetti campani dal significato “ti picchio”. Infatti, il tema principale dello spettacolo teatrale è appunto la violenza, quella violenza fisica e primordiale che viene mostrata per la prima volta in forma drammaturgica. Il drammaturgo Luigi Morra, insieme agli attori Pasquale Passaretti ed Eduardo Ricciardelli, mette in scena tre personaggi che interagiscono con il pubblico, sgretolando definitivamente la quarta parete. Ed è proprio nella logica dell’interazione che lo spettacolo prende vita. L’attenzione nel mostrare i personaggi secondo un preciso gioco di luci ed ombre, operato dal regista Domenico Catano (che dello spettacolo ha curato le parti video, oltre a seguire attentamente il lato tecnico -luci e audio), insieme all’accompagnamento della musica dei Camera (composti da Antonio Arcieri, Marco Pagliaro e Agostino Pagliaro), permette allo spettatore di immedesimarsi nei panni di chi provoca e di chi subisce la violenza.

In questo modo c’è un ritorno alla catarsi greca portatrice di nuovi significati per lo spettatore, senza ricorrere alla tragedia ma al carnevalesco. Il carnevale, secondo il filosofo e critico letterario M. Bachtin, è il rovesciamento, temporale e ambiguo, dell'ordine sociale (L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione popolare e rinascimentale, Torino 1979).




Le tre figure dei bruti, impersonate da Luigi Morra, Pasquale Passaretti ed Eduardo Ricciardelli, sono lo specchio di questa concezione del carnevalesco. La maschera e la figura del clown partecipano alla mistificazione degli oggetti di scena, che si muovono alla ricerca di un’estetica contemporanea o sperimentale in cui tutto sembra leggero e sospeso, ma che si presta ad un dinamismo dei corpi che riporta l’attenzione dello spettatore al tema principale.

La violenza, di uno sguardo o di un atteggiamento, che sia essa fisica o psicologica, si muove parallelamente alla cultura e all’uomo, con forme sempre nuove.
Il tema dibattuto è strettamente contemporaneo, nonostante il suo essere arcaico e allo stesso tempo l’archetipo del conquistatore, di colui che necessita di ottenere il consenso altrui mediante la propria imposizione.




Quando si è di fronte alla violenza non esistono più classi sociali o filtri ermeneutici. Non c’è dialogo, non c’è ragione. Esiste il tu ed io. Attraverso il meccanismo dell’immedesimazione lo spettatore è in grado di percepire quella tensione che è l’obiettivo dello spettacolo: comunicare un’emozione chiara e tangibile. 
Il disvelamento provocato da queste emozioni provoca infine un arricchimento morale in quanto consapevolezza del proprio Io, che si mostra sempre in quanto verità di fronte alla paura e all’ignoto.

Erminio Tota
   


martedì 3 aprile 2018

Gli Erasmus+ della Dante di Anversa ci portano nella Ferrara del Rinascimento

Poco prima della pausa pasquale, gli studenti Erasmus+ Erminio Tota e Rossella Pensiero, accompagnati dall'insegnante di lingua italiana presso la Dante di Anversa, Sara Lovisa (che quest'anno affianca Anna Bellamoli), hanno presentato agli studenti dell'ultimo anno d'italiano della scuola di lingue Encora Talen, il poema rinascimentale L'Orlando furioso e il contesto storico e sociale in cui l'opera d'Ariosto vide la luce. Il tutto in maniera ludica...un bel modo di fare letteratura, davvero!





























INTERVISTA A PASQUALE PASSARETTI ED EDUARDO RICCIARDELLI, ATTORI IN TVATT


Il 12 marzo scorso ha varcato i confini nazionali lo spettacolo TVATT di Luigi Morra, liberamente ispirato a East e West di Steven Berkoff. Il tour nordeuropeo, promosso dalla Dante di Anversa, è approdato in uno dei principali teatri della città, 't Klokhuis, e negli Istituti Italiani di Cultura di Bruxelles e Amsterdam, riscuotendo un acceso interesse da parte del pubblico straniero, che ha sfidato le apparenti difficoltà legate alla tematica e a un uso dinamico di diversi codici linguistici, standard e non, per mettersi alla prova con uno spettacolo non convenzionale che sfrutta la contemporaneità espressiva per trattare di istinti primordiali.
Un plauso va sicuramente al pubblico belga e olandese per l'apertura dimostrata nei confronto di un teatro interattivo e polimorfo, ma per comprendere meglio il lavoro che ha portato alla realizzazione finale della pièce, abbiamo intervistato Pasquale Passaretti ed Eduardo Ricciardelli, che insieme a Luigi Morra, hanno fatto parte del cast.


-Pasquale Passaretti, parlaci del tuo personaggio…

In TVATT il mio personaggio è un non-personaggio, rappresenta infatti (diversamente dagli altri due) il più debole del gruppo, non sul piano mentale ma sul piano fisico. C’è sempre all’interno di questa sorta di “bande” quello che è il meno abile a fare le risse, allo stesso tempo però, nelle dinamiche che si creano, è proprio questo tipo di persona che dà il via alla violenza, che è funzionale al resto della banda per creare un’aggressione.
Così avviene infatti nel monologo “Naso rotto” che nasce da un episodio di vita vera: in un contesto di provincia, durante una festa popolare religiosa, questo personaggio è alla ricerca della rissa, individuando e riconoscendo i suoi nemici tra la folla, il suo andare a quella festa era dunque finalizzato proprio a rompere le scatole per riuscire a fare a botte.
Dal monologo si evince poi che lui sostanzialmente le prende, ci prova pur sapendo di prenderle. Perché a volte in queste dinamiche, può sembrare paradossale, ma non solo chi è bravo ad applicare la violenza in maniera attiva merita il rispetto dei suoi amici/compagni, ma anche chi in maniera passiva la violenza la subisce e perde l’incontro; può infatti prendersi la sua rivincita dicendo in giro “guarda, il mio naso è storto perché quella sera mi sono trovato in una rissa.”
C’è sempre la volontà di ritrovarsi in quelle dinamiche nonostante l’impossibilità di risultare vincente.
Infatti nello spettacolo è quello che è vestito diverso, che ha una camicia e delle scarpe, mentre gli altri personaggi sono a torso nudo e indossano gli zoccoli. Rappresenta la parte più fragile del gruppo che però non è meno cattiva, anzi è proprio il provocatore da cui tutto scaturisce.





                       
-Come nascono i monologhi? Sono il frutto di una tua creazione, di una collaborazione con gli altri membri della compagnia o la rilettura di monologhi teatrali già conosciuti a cui fai implicitamente riferimento?

Si tratta di tre monologhi. Il primo è costruito su un episodio di cronaca realmente accaduto nelle nostre zone, è stato creato con Luigi Morra partendo da un momento di improvvisazione, poi dallo scritto di Luigi, con alcuni miei inserimenti, si è arrivati alla chiusa finale che cerca appunto di raccontare l’episodio di violenza, un far finta di darle per poi riceverle. Gli altri due monologhi invece vengono chiamati “favolette senza morale” e sono ispirati al testo di Berkoff a cui guarda l’intero spettacolo e sono una summa dell’atteggiamento di provincia.
Nella seconda favoletta ad esempio si parla di quelle persone che si sentono sempre meglio delle generazioni presenti, per loro tutto ciò che c’era prima era migliore, aveva un valore più profondo «le persone prima camminavano tutte insieme, e quando camminavi, camminavi veramente…», ma anche oggi si cammina, «l’amicizia era l’amicizia», ma anche oggi l’amicizia è un valore universale. Fa il verso dunque a quel tipo di generazione e anche ai personaggi stessi che si sentono sempre protagonisti del loro tempo mettendo a paragone le cose che fanno con quello che li circonda.
La prima “favoletta senza morale” invece è quella del cane e del bambolotto che è un racconto che Luigi ha ascoltato nel suo paese, Mondragone, e che ha trasformato in drammaturgia.
Fino a trenta, quaranta anni fa, nel sud era normale che quando un animale domestico aveva dei cuccioli non attesi li si sopprimesse appena nati, perché rappresentavano un problema.
La cosa assurda e reale è che queste cose le facevano sempre le nonne o le mamme, che soprattutto nel meridione erano il simbolo massimo della dolcezza e della premura, perciò l’episodio è l’esempio giusto per evidenziare come la violenza c’è in tutto, anche in una dolce nonna che con molta nonchalance prende i cuccioli e li uccide in maniera cruenta sbattendoli contro un gradino di marmo con un colpo secco, come fosse un’azione normale. Oggi è assurdo pensare una cosa del genere, nei nostri anni c’è fortunatamente una pet harmony molto forte, mentre prima era considerato normale.
Nascevano dei gattini, non erano benvenuti, venivano soppressi a un’ora dalla nascita. È proprio questo contrasto che c’è sempre interessato ed è emblematico per indicare come poi la violenza non sia prerogativa esclusiva delle persone grette.
Le parti che recito io dunque si inseriscono in un discorso che non vuole essere prettamente drammaturgico-narrativo, ma che serve a costruire un mood, un’atmosfera chiara, nonostante non ci sia una vera storia da raccontare, ma l’intento di fornire una chiara sensazione.





-Una domanda sull’uso degli oggetti di scena, tu hai solo un microfono che in maniera molto efficace a volte diventa il cucciolo da sopprimere altre la bottiglia di birra da spaccare sulla testa al nemico…

Questo rientra nel nostro modo di lavorare che è comunque determinato da un percorso e dagli ambienti che abbiamo sempre frequentato. Il gioco di questo spettacolo è proprio questo: prendere un’estetica contemporanea o sperimentale e creare uno spettacolo che è apparentemente leggero, perché c’è tutta una parte divertente che poi diventa più pesante, più efficace nel dare una sensazione di strazio, e lo facciamo prendendo degli oggetti che poi trasformiamo in altro.
È il risultato del nostro percorso di clown, perché il clown è colui che gioca molto sulla mistificazione degli oggetti, trasformando una scarpa in un telefono e viceversa, quindi ci sembrava normale riuscire a dare un senso altro alle cose che utilizziamo. Cosi come le sedie che vogliono dare l’idea del cemento della periferia, sono efficaci nel dare una dinamica immaginifica altra. È una cosa che facciamo anche in altri spettacoli ed è un modo che ci piace conservare e approfondire, può sembrare semplice raccontare le cose con pochi elementi scenografici, ma c’è un lavoro dietro che parte dall’improvvisazione clownesca per arrivare a scavare nel senso profondo che gli oggetti possono dare al racconto.


-Eduardo Ricciardelli, cosa ci dici invece del tuo personaggio?
Insieme a Luigi e a Pasquale abbiamo sviluppato queste tre figure di bruti, di picchiaduro da bar, il mio personaggio è quello che è più silenzioso, perché è quello più pericoloso da un punto di vista animale, nella sua essenza c’è l’azione e non la parte verbale, quindi non si racconta tramite delle linee vocali ma tramite un universo gestuale che è quello di un totale silenzio del corpo, di fermezza, che poi si rivela invece in un’esplosione animale. Abbiamo deciso infatti di utilizzare una maschera, realizzata da me in maniera molto grezza a livello artigianale, una maschera che sembra quasi distrutta, quasi un volto tumefatto dalle botte e poi abbiamo lavorato sui vari linguaggi e varie possibilità che questo personaggio aveva di esprimersi avendo compiuto quasi il settantacinque percento dello spettacolo stando fermo, osservando solo e respirando, facendo solo delle azioni. Nello studiare questo personaggio, nella parte in cui sta fermo, mi sono ispirato allo sguardo di un grande attore americano, Ben Gazzara, che ha recitato la parte del  Professore 'e Vesuviano (Raffaele Cutolo) nel film Il camorrista di Giuseppe Tornatore. Lui è il tipo di personaggio che al bar eviti di guardare, perché ha una sua evidente pericolosità. La parte in maschera e in movimento è invece il risultato di uno studio che io e Luigi portiamo avanti da tempo ad esempio con il “progetto Caravan” (per approfondimenti: www.eternitonline.it/progetto-caravan/).




-Nella parte in cui finalmente entri in azione indossi una maschera, hai una gestualità espansiva che coinvolge soprattutto gambe e braccia e nel momento in cui mimi di picchiare qualcuno lo fai simulando l’utilizzo di un bastone. Questi tre elementi richiamano quasi direttamente una figura tanto classica quanto sventurata del teatro napoletano, è possibile definire il tuo personaggio un crudo e contemporaneo pulcinella? Bastonatore spesso bastonato…

Nonostante l’utilizzo nello spettacolo di un dialetto che si confà alla cultura campana in realtà non sono partito dalla costruzione fisica di una maschera in particolare. Se dovessi pensare a una figura, più che a un Pulcinella, che ha un’attitudine più pigra, penserei a uno Zanni.
Il gioco della maschera sicuramente per la fisicità richiama uno Zanni cinquecentesco, quindi molto rozzo, molto grezzo proprio a livello di posture e di iconografia, però uno Zanni riportato, con molta difficoltà (sono sincero) per lo studio che c’è stato dietro, a una contemporaneità che non è semplice da raccontare: quella della violenza.
La maschera che indosso è fatta sul calco di uno Zanni, ma appunto è fatta male, è lacerata per un motivo preciso, io faccio delle maschere ma non ho tutti i paradigmi e non ho ben chiare tutte le fasi di costruzione, quindi quelle che escono sono delle maschere “umane” e non delle maschere di tipi fissi della Commedia.
La maschera mi ha aiutato a trovare questa dimensione che è molto legata a uno Zanni arcaico, terreno, forse anche un Pulcinella ma sicuramente non quello legato alla tradizione del ‘700 e dell’800, ma uno dei primi. I temi fondamentali per Pulcinella sono l’amore, il denaro e la fame, in questo ambito invece il tema fondamentale è il binomio tra il menare e l’essere menato. Nelle storie questi personaggi di strada magari hanno picchiato ma hanno anche ricevuto tante tante mazzate, in questo senso c’è un background legato alla potenza, all’uso degli arti e le posture sono sicuramente quelle di un servo, questo è indubbio, non c’è nulla di formalmente regale, solo di terreno e demoniaco…



-Dunque la maschera che indossi sulla scena è una tua creazione, realizzare maschere è solo un hobby?

Lavorando sulle maschere della Commedia dell’arte come idea quasi di vita ho conosciuto dei costruttori, però non ho mai seguito un corso vero e proprio, sono quasi un autodidatta, ho iniziato chiedendo dei consigli su come farle, ma non posso definirmi un artigiano né tantomeno un mascheraio. Sono sicuramente il risultato di qualcosa che cammina vicino a me e del piacere che è legato al mio lavoro, perché poi il lavoro sulla maschera mi insegna che una maschera fatta bene ha un’energia molto più precisa. Una volta per questo stesso spettacolo ho utilizzato una maschera che mi aveva prestato Pasquale e le direzioni che indicava erano molto più precise di questa maschera qua, questa è molto più difficile, di solito la maschera ti aiuta a precisare, questa mi aiuta a perdermi.

Rossella Pensiero