giovedì 13 marzo 2025

Recensione de "I miei stupidi intenti" del socio Bruno Solignac

I MIEI STUPIDI INTENTI - Bernardo Zannoni

 “L’homme n’est ni ange ni bête mais le malheur veut que qui veut faire l’ange fait la bête. » Blaise Pascal, Pensées, 1678

(“L’uomo non è né un angelo né una bestia ma la sfortuna fa sì che colui vorrebbe essere un angelo diventi una bestia.”)


Nel suo romanzo, che prende la forma di una favola, Zannoni sostituisce gli animali agli uomini. I più notevoli di questi animali sono il protagonista, Archy, una faina, e il suo mentore, la volpe Solomon, l’usuraio. La narrazione ci racconta tutte le vicende di Archy dalla culla alla sua morte violenta.

Solomon evolve da maestro-proprietario di Archy, a suo mentore sia riguardo alle faccende pratiche che alla sua evoluzione intellettuale. Se al livello pratico  Solomon, l’usuraio, si rivela un opportunista spietato che approfitta della debolezza intellettuale dei suoi clienti, egli diventa un personaggio più complesso come mentore.

In effetti, da un canto, Solomon insegna a Archy a leggere e a scrivere e questo gli servirà a gestire le finanze del padrone, ma dall’altro, Archy potrà leggere il libro di Dio e più tardi riscrivere la vita di Solomon e perfino scrivere anche la sua. Non è un’impresa puramente altruista quella di educare Archy. Infatti Solomon sente un bisogno di comunicare le sue idee, un bisogno di farsi un compagno intellettuale che condivide queste idee.

Leggendo il libro di Dio, Solomon si è fatto l’idea che sia un uomo, un figlio di Dio, e che per ciò sarà salvato, che dopo la sua morte vivrà accanto a Dio. Visto che Dio no ha né inizio né fine e che l’uomo essendo il suo figlio partecipa (a metà) alla natura divina – l’uomo nasce ma continua a vivere dopo la morte - nella vita degli uomini c’è un prima e un dopo. C’è dunque una dimensione temporale.

« Verba volant scripta manent. »

Lo scritto non apporta soltanto questa conoscenza al lettore, scrivere costituisce però anche un mezzo per sopravvivere sulla terra rimanendo presente nella memoria dei lettori. Mentre a Solomon importa che quest’immagine che lascerà alla posteriorità sia positiva, ad Archy importa soltanto che Klaus, l’istrice che l’ha salvato, possa ricordarsi della loro amicizia, che possa avventurarsi anche lui sulla pista pericolosa di una conoscenza che potrebbe diventargli fatale, oltrepassando la sua condizione animale. Tra l’altro, è grazie alla scrittura, che Solomon e Archy hanno il sentimento di avere oltrepassato le limiti dell’esistenza animale.
La consapevolezza del tempo e, forse, come conseguenza, ancora più l’aspirazione a oltrepassare la morte conferisce a Archy, a Solomon, agli uomini una superiorità per rapporto agli animali.

“Ignorance is a bliss.”  (“L’ignoranza è una benedizione.”)

In effetti, gli animali, inconsapevoli della dimensione temporale della vita, vivono esclusivamente nel presente, e seguono inconsapevolmente gli impulsi degli istinti. Ad esempio, l’amore per loro non ha niente di romantico né di duraturo. Louise dirà “Ti amo, Archy. C’è la stagione degli amori.” Anche Archy segue a volte i suoi istinti irritando così il suo mentore che lo rimprovera e opporrà l’amore di Dio all’amore animale. Anche l’istinto materno o paterno, il legame di fratellanza hanno i loro limiti: Annette baratta suo figlio Archy per una gallina e mezza e ad un certo punto, affamati, Archy e Leroy stanno per mangiare Otis, il loro fratello debole, e pure essendo padre, Archy, affamato, sta per mangiare il proprio figlio salvato però da Anja, la sua compagna. Da madre, istintivamente, Anja protegge i figli sentendosi in grado di crescerli da sola. L’istinto di sopravvivere supera tutto. Gli animali rimangono attaccati alla vita fino all’agonia.

Precisamente nell’agonia Archy e Solomon sentono che le aspirazioni e gli sforzi a passare nell’aldilà dopo la morte sono degli stupidi intenti. Archy ne è consapevole. Crede che gli animali vivendo costretti nel presente, seguendo i loro istinti vivano un’esistenza che coincide con la loro essenza e che così, siano perfetti.

Nella versione riscritta della sua vita però Solomon considera l’aspirazione al potere o alla ricchezza ed anche la relazione amorosa come dei stupidi intenti. Archy invece adottava un atteggiamento più distaccato che disprezzativo riguardo al potere e alla ricchezza e, infine, pure alle relazioni amorose sia con Louise che con Anja.

Essendo uomini, dovremmo anche noi limitarci ad un’esistenza meno ambiziosa di quella che ci caratterizza? Sarebbe questa la morale del romanzo?

Umanista, preferisco continuare in tutta modestia ad aspirare a trascendere ciò che crediamo essere i nostri limiti, allargando così l’orizzonte della nostra vita. Finirò con una citazione di Guglielmo I d’Orange anche noto come Guglielmo il Taciturno : “Nul n’est besoin d’espérer pour entreprendre ni de réussir pour persévérer. » (“Non c’è bisogno di sperare per intraprendere né di riuscire per perseverare.”)

Bruno Solignac

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