domenica 10 marzo 2019

Un mondo barocco: caratteristiche dell’opera italiana. La Dante di Anversa incontra Michele Balistreri e Giovanni Andrea Sechi


La conferenza a due voci che si è tenuta lo scorso 31 gennaio è stato un vero e proprio tuffo nella cultura musicale italiana, dalla nascita dell’opera barocca alle problematiche relative allo studio del pasticcio.






Il Dottor Balistreri era già noto alla maggior parte dei soci presenti all’incontro, essendo stato il primo studente Erasmus+ ospite della Dante di Anversa; dopo aver terminato gli studi presso l’Università di Palermo, ha conseguito il diploma in Organizzazione dello spettacolo dal vivo presso la Civica Scuola del Teatro Paolo Grassi di Milano e attualmente lavora in Italia nel campo della regia d’opera e dell’organizzazione di spettacoli. Nel suo intervento, ha illustrato con grande chiarezza e perizia le diverse fasi che hanno portato alla definizione dell’opera barocca in Italia, partendo dal ruolo della musica nelle corti italiane del Cinquecento, prima ancora della nascita dell’opera stessa, fino alle trasformazioni che hanno investito il panorama musicale italiano nel Seicento e ai connotati dell’opera seria tipica del Barocco settecentesco. Il Seicento in Italia, in particolare, ha visto un cambiamento significativo nei costumi della nobiltà in relazione alla musica, che passa dall’essere praticata dai nobili stessi all’essere dominio di veri e propri professionisti, e che inizia, già sul finire del Cinquecento, ad essere non più semplicemente eseguita da musicisti, ma messa in scena, a partire da Firenze (camerata de’ Bardi). Gli studi e le teorizzazioni immediatamente successivi hanno portato alla definizione di due diverse tipologie di opere, quella di corte e quella impresariale, con diverse connotazioni. In relazione alla seconda, a causa delle esigenze conseguenti alla realizzazione di uno spettacolo pubblico, vengono costruiti i primi teatri “all’italiana”, caratterizzati da palchetti su più ordini che venivano affittati annualmente alle famiglie di spicco della società. Vengono inoltre introdotti, nelle trame delle opere, un maggior numero di personaggi secondari, oltre che dei personaggi comici, per incontrare il gusto degli spettatori e compensare in un certo qual modo le mancanze della scenografia, ridotta rispetto a quella dell’opera di corte per via del minor budget a disposizione degli organizzatori. Il clima barocco del Settecento porta ad una netta affermazione dell’opera impresariale in tutta la penisola italiana, che diventa parte integrante della vita culturale della maggior parte della popolazione. L’opera seria diventa un vero e proprio evento sociale, adeguando la sua fisionomia alle richieste del grande pubblico per temi, struttura, stili, personaggi e timbri vocali.


 Il Dottor Sechi, diplomato presso la Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell’Archivio di Stato di Bologna ed esperto del repertorio vocale italiano del Sei-Settecento, ha quindi continuato il discorso iniziato dal suo collega concentrandosi su un tema particolare della sua attuale ricerca, il pasticcio. Il lavoro del musicologo, ossia quello di studiare e di attualizzare l’opera di un dato compositore rendendola fruibile all’esecuzione ma restando il più possibile fedele alle intenzioni del suo autore, è messa a dura prova dai pasticci settecenteschi in virtù della loro stessa natura. Il pasticcio, infatti, si configura come un lavoro operistico complesso, dato dalla compresenza di più musiche, di autori diversi o di uno stesso autore, montate in modo nuovo (cambiando le parole del libretto, ad esempio), così da generare un’opera “originale” – siamo ben lontani dal concetto di plagio dei nostri giorni. Si capisce quindi come la ricerca di influenze più o meno evidenti di musiche di altri autori e opere all’interno di un pasticcio sia un lavoro gravoso e assai lungo, tanto che il pasticcio risulta ad oggi una delle forme d’arte musicale meno studiata e solo di recente affermatasi all’attenzione dei ricercatori. La grande circolazione delle opere, unita alla richiesta del pubblico di assistere a spettacoli sempre nuovi, hanno fatto sì che le opere stesse diventassero un bene effimero, esposte a continui cambiamenti.


Questi due preziosi interventi hanno consentito al pubblico di avvicinarsi ad alcune delle problematiche più recenti del mondo della storia della musica e della musicologia e sono stati seguiti da un vivace dibattito con i presenti. Cogliamo l’occasione quindi per ringraziare ancora una volta i nostri due ospiti e ci auguriamo di poterli riavere presto qui ad Anversa.

Giulia Mangialardi
Foto di Naomi Camardella

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