Ma tornando
all’opera, per capire la presenza di Diana nella Commedia, è necessario
andare a vedere quali sono le varie fonti a cui Dante si ispira per scrivere la
sua opera. Tra le tante, le più importanti sono chiaramente i testi religiosi
cristiani, come riflesso della sua epoca; ma anche i testi classici latini e
greci tradotti, soprattutto Ovidio e Virgilio. Ma per cosa usa questi
riferimenti? Per dirci qualcosa di importante e su cui ha riflettuto tanto
attraverso un esempio concreto, che trae proprio dalle storie di personaggi
raccontante nei testi religiosi e in quelli classici.
Uno di questi
personaggi è proprio Diana, che Elena ha approfondito anche per la sua tesi di
laurea. Diana è un personaggio importantissimo del mito classico: dea della
luna e sorella di Apollo, il dio del sole; è anche protettrice dei boschi e dea
della caccia, per questo è spesso rappresentata con arco e frecce accompagnata
da animali selvatici.
Diana di Versailles, copia romana di un originale bronzeo di Leocare, I-II secolo d.C.,
marmo, Museo del Louvre, Parigi
Ma perché Dante cita proprio lei nel Purgatorio? Per capirlo è necessario ripercorrere prima alcuni passi del suo mito. Il mito, raccontato da Ovidio e Virgilio, che sicuramente Dante ha letto, narra che la madre di Apollo e Diana, Latona, rimase incinta dei due gemelli da parte di Giove, noto per i suoi amori extraconiugali. La moglie di Giove, Giunone, una dea molto vendicativa, dopo aver scoperto che Latona era incinta di suo marito la condannò a vagabondare perseguitata da un serpente mostruoso. Latona quindi fuggì da questo mostro in cerca di un posto per partorire, ma per paura di una vendetta di Giunone, nessun luogo volle darle ospitalità. Dopo lunghe peregrinazioni, Latona fu finalmente accolta dall’isola di Delo, destinata anche lei come Latona a vagare per i mari, trasportata delle onde. Secondo il racconto, dopo il parto, per ricompensare l’isola, Apollo la ancorò al fondale marino rendendola finalmente stabile.
Un altro
passaggio fondamentale oltre alla sua nascita è quello che coinvolge la ninfa
Callisto, raccontato anche da Rubens attraverso la sua arte.
Diana
e Callisto, Peter Paul Rubens, 1635, olio su
tela, Museo del Prado, Madrid
Diana viveva
nei boschi in compagnia delle ninfe, con le quali osservava la castità.
Tuttavia, Callisto venne violentata da Giove e, anche se non riuscì ad opporsi,
la castità fu violata. Quando Diana lo scoprì, la cacciò per sempre dai suoi
boschi sacri.
Diana
e Callisto, Tiziano, 1566 ca., olio su tela,
Kunsthistorisches Museum, Vienna
Infine, l’ultimo
episodio del mito citato è quello che comprende Atteone, un
giovane cacciatore che per caso, mentre era a caccia nei boschi, vide Diana e
le sue ninfe che facevano il bagno nel fiume. Diana se ne accorse e lo trasformò
immediatamente in un cervo. Venne poi sbranato dai suoi stessi cani da caccia
che non lo riconobbero.
Una volta
approfondito il mito di Diana e alcuni episodi fondamentali, Elena ci ha
riportati al Purgatorio leggendoci due passi in cui compare proprio la
dea, che si trovano uno nel XX canto e l’altro nel XXV.
130 Certo
non si scoteo sì forte Delo,
131 pria che
Latona in lei facesse ‘l nido
132 a parturir li due occhi del cielo.
Dante, in
questa terzina, utilizza il riferimento all’isola di Delo che vaga per mare per
parlare di un terremoto del monte del Purgatorio. Durante questa scossa,
Dante si trova con Virgilio al termine del percorso della quinta cornice,
quella degli avari, e si prepara a salire alla cornice successiva. Nel canto
successivo si scoprirà che il terremoto viene causato dall’anima del poeta latino
Stazio, che si scuote di gioia per la sua liberazione, dopo aver concluso il
suo percorso di purificazione. Nei versi successivi a quelli sopracitati, c’è
un riferimento alla nascita di Gesù. Dante propone sempre a coppie un esempio
classico e un esempio cristiano. In questo caso, le somiglianze tra la nascita
di Diana e Apollo e quella di Gesù citate in proprio in questo momento ci fanno
capire che la purificazione dell’anima di Stazio ha a che fare con il tema
della natività. Infatti, la sua anima sta rinascendo a una nuova vita, pronta
per andare in Paradiso.
Tenendo questo
a mente, siamo passati alla seconda terzina in cui compare Diana.
130 Finitolo, anco gridavano: «Al bosco
131 si tenne
Diana, ed Elice caccionne
132 che di
Venere avea sentito il tòsco».
In questo canto Dante attraversa la cornice dei lussuriosi, a cui vengono gridati esempi di castità, tra cui quello di Diana, in coppia con quello di Maria, intrecciando anche in questo caso le fonti classiche con quelle bibliche.
Prima di
concludere, Elena ha chiarito come, per capire bene l’uso che Dante fa del mito
di Diana, bisogna aver chiaro come lo leggevano i medievali. In particolare, si
tendeva a leggere i miti classici come simboli di avvenimenti cristiani. A
differenza però degli altri autori del suo tempo, Dante non vuole usare Diana
come semplice allegoria di una verità cristiana, infatti ha grande rispetto del
testo classico a cui attinge e cerca piuttosto di metterlo in dialogo con il
testo sacro, offrendo al lettore un doppio sguardo sul problema di cui sta
parlando. Quindi, Dante, attraverso
Diana, ci vuole portare un esempio classico di virtù, che, se combinato con lo
sguardo cristiano, aiuta il lettore nel suo percorso dalla miseria alla
felicità, fine ultimo della Commedia.
Grazie
a questa splendida conferenza abbiamo potuto sentirci anche noi parte del
ragionamento di Dante e vivere un po’ più nel dettaglio la composizione della Commedia.
Elena ci ha affascinati con storie antiche che a primo impatto potevano
sembrarci lontane dalla vita di Dante e dalla nostra, ma come il Sommo è
riuscito a leggerci qualcosa di attuale per il suo tempo, anche noi possiamo
portare il mito e la Commedia nella nostra vita quotidiana, perché ci
sono storie che parlano per sempre.
Alice Avanzi, tirocinante Erasmus+ presso La Dante di Anversa
