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Accogliamo con piacere Riccardo, nuovo Erasmus+ alla Dante di Anversa, che avrà il compito di curare una serie di progetti in collaborazione con l'Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles.
Ciao a tutti, mi chiamo Riccardo Magagna, ho 23 anni e vengo da Vicenza. Sono laureato in Lettere Moderne all’Università di Padova e attualmente sto concludendo la magistrale di Editoria e Giornalismo a Verona. Augusto scrisse “Festina Lente” qualche secolo fa, letteralmente “affrettati lentamente”, ciò sta a significare che dobbiamo avere la capacità, la prontezza, di cogliere le occasioni che attraversano la nostra vita come se fossero dei treni in corsa, ma una volta saliti su quello che crediamo sia il “vagone giusto per noi” dobbiamo imparare a proseguire con cautela e intelligenza, godendoci il viaggio e dimostrando tutto il nostro valore. Questa è la filosofia che provo ad applicare alla mia vita ed è quello che cercherò di fare durante questa esperienza“.
Con Riccardo, conosceremo a fine giugno con una conferenza Zoom, la realtà sportiva del Veneto, passando in rassegna personaggi ed eventi meno noti ai più, con un focus particolare sul successo della pallacanestro in Italia.
Venerdì 21 maggio si è svolto l’evento online per i soci della Dante “E a dir di Sardigna”, presentato dalla tirocinante del nostro team Erasmus + Camilla Dore. La presentazione, che ruota intorno agli aspetti storici, culturali e paesaggistici della Sardegna, ha ottenuto il patrocinio morale dell’ENIT (Agenzia Nazionale del Turismo) grazie alla disponibilità e alla collaborazione di Alfonso Santagata.
Le frasi scelte da Camilla per l’apertura dell’evento sono quelle di due grandi autori, uno più antico e uno quasi contemporaneo; si parla in primo luogo di Dante, il quale nel canto XXII dell’Inferno ha parlato della Sardegna attraverso questi versi: “E a dir di Sardigna le lingue lor non si sentono stanche”. Con queste parole il Sommo Poeta apostrofava i sardi, riportando l’abitudine degli abitanti dell'isola di parlare molto spesso della propria terra natia, senza stufarsi. La seconda, celebre frase è del cantautore Fabrizio de André, il quale ebbe un rapporto profondo e a tratti complicato con la terra sarda, che descrisse con queste belle parole:
Le immagini scelte accompagnano perfettamente le parole dell’artista scomparso;
riportano infatti la splendida Grotta Azzurra di Masua, con la forma della
Sardegna, e le verdi montagne del Marganai. La descrizione geografica
dell’isola viene effettuata con chiarezza da Camilla, la quale tocca gli
aspetti naturalistici più diversi che caratterizzano il clima e il paesaggio
isolano. Il viaggio virtuale prosegue con la storia plurisecolare di questa
terra antica, le cui origini risalgono al periodo nuragico e alla fiorente
quanto misteriosa civiltà che abitò l’isola nel II millennio A. C.
Le Egloghe sono due componimenti di carattere bucolico scritti in lingua latina da Dante Alighieri tra il 1319 ed il 1320 a Ravenna e pubblicate per la prima volta a Firenze nel 1719.
Le egloghe, rispettivamente Vidimus in nigris albo patiente lituris di 68 versi e Velleribus Colchis prepes detectus Eous di 97 versi, sono composte in esametri e si rivolgono a Giovanni del Virgilio, lettore di poesia latina presso l'Università di Bologna, che con una epistola di carattere oraziano, il Pyeridum vox alma, novis qui cantibus orbem, invitava il poeta del "carmen laicum" disprezzato dai dotti, cioè la Commedia, a scrivere un "carmen vatisonum", cioè un carme di carattere eroico, per conquistarsi i letterati e ottenere la corona d'alloro.
Dante risponde al letterato con un'egloga di tipo virgiliano dove immagina che il pastore Titiro (nome sotto il quale si nasconde Dante stesso) e Melibeo (il giovane Dino Perini esule fiorentino) mentre si trovano a pascolare il gregge ricevono l'epistola di Mopso (nome fittizio di Giovanni del Virgilio). A Melibeo che vuole conoscere il contenuto della missiva, Titiro dice che il maestro lo invita a cingersi d'alloro e aggiunge che ne sarebbe felice ma non a Bologna e per il genere di poesia che vorrebbe il dotto, ma sulle rive dell'Arno e per la sua Commedia.
A questa egloga Giovanni del Virgilio risponde a Dante con Forte sub inriguos colles, ubi Sarpina Rheno, e questa volta sotto forma di egloga virgiliana, rinnovandogli l'invito. Dante risponde con una seconda egloga nella quale racconta all'illustre corrispondente delle numerose prestazioni d'affetto e di stima che riceve a Ravenna e al pastore Alfesibeo (sotto il quale si cela il maestro Fiducio dei Milotti) che lo prega di non abbandonare i pascoli che egli ha reso famosi con il suo nome, Titiro risponde dicendogli che non se ne andrà mai da quel luogo pieno di pace e silenzio per recarsi in un'altra dimora.
Venerdì 7 aprile ha avuto luogo su Zoom il secondo appuntamento con le tirocinanti Erasmus + della Dante di Anversa. Monica Melis, dottoressa in Lingue e Comunicazione e laureanda in Filosofia e Teorie della comunicazione, ha esposto la sua presentazione sul rapporto tra il Sommo Poeta e la religione islamica.
Monica ha compiuto un
interessante excursus sui vari studi e teorie che, dal XVIII secolo, hanno
avanzato l’ipotesi del possibile legame tra il capolavoro dantesco con opere di
origine musulmana. La teoria più importante fu quella avanzata dal sacerdote
spagnolo, Don Miguél Asín-Palacios, dotto islamista e docente all’Università di
Madrid, il quale pubblicò i risultati di una sua lunga ricerca nell’opera
intitolata La Escatologia Musulmana en la Divina Comedia. Asín-Palacios
rilevò la somiglianza tra numerosi elementi simbolici presenti nella Commedia
dantesca e alcuni racconti arabi sull’Aldilà, in particolare quello del Miraj
(l’ascensione al cielo di Maometto), contenuti nel Libro della Scala.
Attraverso delle immagini particolarmente esplicative, Monica ha mostrato scrupolosamente le numerose somiglianze tra i racconti del Libro della Scala e la Commedia: durante il suo viaggio Maometto incontra alcune fiere che gli sbarrano il passo, un leone e un lupo, proprio come Dante, che però incontra il leone, il lupo e la lonza (forse, una lince o un leopardo). Proprio come il nostro Dante, Maometto non compie questo viaggio da solo ma è affiancato da una figura, l’arcangelo Gabriele, il quale lo guida come Virgilio guida Dante.
È stato particolarmente
interessante vedere come l’architettura degli Inferi e la cosmografia celeste
siano pressoché identiche: infatti, il modello dell’inferno musulmano e quello
dell’inferno dantesco possiedono entrambi una forma a imbuto formato da una
serie di ripiani, sette nel caso islamico, nove (dieci, compreso il limbo) in
quello dantesco. Anche l’inferno musulmano è suddiviso per la tipologia del
peccato commesso, e quindi anche dal punto di vista morale e vi sono delle analogie
anche tra le punizioni dei dannati: come nella Divina Commedia i
tormenti sono correlati alla propria colpa per analogia o per contrapposizione,
anticipando il famoso contrappasso. Inoltre, molte delle punizioni sono simili,
come quella afflitta ai cattivi figli, sommersi nel fuoco e tormentati da
demoni che li afferrano con ganci di ferro, proprio come i barattieri nella V
bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno dantesco.
Come l’inferno, anche la
cosmografia celeste risulta alquanto simile: Dante chiama sette cieli con i
nomi degli astri del sistema tolemaico, a cui aggiunge altre tre sfere: quella
delle stelle fisse, quella cristallina e l’empireo. Nella tradizione islamica
queste tre sfere rappresentano le ultime tre tappe del viaggio notturno del profeta
Muhammad: il loto, la casa abitata e il trono di Dio. I sette cieli invece sono
presidiati ognuno da un profeta e sono associati a un elemento alchemico.
Inoltre, sia nel paradiso dantesco che in quello islamico vi è l’impossibilità
di descrivere le visioni celesti a causa dei limiti dell’intelletto e delle
visioni umane. Infatti, la luce intensa del divino ottenebra la vista di
Maometto al punto che teme di diventare cieco: Gabriele prega Dio e fa sì che
Maometto sia in grado di vedere la luce, azione che per Dante viene compiuta da
Beatrice nel Paradiso.
Nonostante queste palesi somiglianze, la teoria di Asín-Palacios sollevò numerosissime polemiche nella critica letteraria: i dantisti, soprattutto italiani, dichiararono inammissibile l'ipotesi dell'ispirazione araba della Commedia e la rifiutarono. Ciò nonostante, il lavoro del sacerdote spagnolo diede un nuovo impulso agli studi danteschi nel mondo arabo e, di conseguenza, anche alle traduzioni della Commedia in lingua araba.
Tuttavia, tutte le traduzioni
arabe della Commedia si scontrano con la difficoltà di rendere
accettabili le posizioni teologiche dantesche ai lettori di fede musulmana,
poiché Maometto si trova, insieme a suo genero, nel canto XXIII dell'Inferno
tra i seminatori di discordie. Tale difficoltà risulta particolarmente evidente
nella traduzione del musulmano ‘Uthman, il quale nonostante sottolinei
continuamente i parallelismi esistenti tra l’opera dantesca e le opere
islamiche, decide di saltare del tutto quel passo dell’Inferno. La
giustificazione a questa sua azione si trova nelle note, nelle quali ‘Uthman
afferma di ritenere tali versi inappropriati da tradurre e che Dante ha
compiuto un errore poiché influenzato dall’opinione comune della sua epoca.
Anche se le più recenti traduzioni mantengono la cantica nella sua interezza, sostituendo il nome del Profeta con dei puntini di sospensione, esse rimangono oggetto di un dibattito che dura ancora oggi: è infatti recente l’episodio della traduzione in nederlandese dell’Inferno ad opera della fiamminga Lies Lavrijsen, nella quale viene omesso il nome di Maometto per non “offendere inutilmente” i lettori islamici. La questione ha sollevato un forte dibattito anche in Italia, poiché questa traduzione è uscita proprio durante le celebrazioni del settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta.
A tal proposito, il
professore dell’Università di Anversa, Rosario Gennaro, ha colto l’occasione
per chiarire la questione sulla veridicità della presenza di islamofobia
nell’opera del Sommo Poeta, spingendo il pubblico a riflettere sul fatto che,
se la casa editrice si è posto un problema, evidentemente si tratta di un tasto
dolente di cui dover parlare, preferibilmente evitando lo scontro.
Monica afferma che tale
accusa risulta infondata, poiché l’interesse e il rispetto che il Sommo Poeta
nutriva verso la cultura e letteratura islamica è alquanto noto: infatti, si
trovano nel limbo due grandi filosofi musulmani, Avicenna e Averroè, accanto ai
maggiori pensatori greci. Il primo è il nome latinizzato di Abu Ali al-Husain
ibn-Sina, noto nell’Occidente medioevale per due scritti di carattere
medico-filosofico, il Canone e il Libro della guarigione. Il
secondo nome latinizzato è quello del filosofo arabo-spagnolo Abul Walid
Mohammad Ibn Rushd, a cui si devono alcuni fondamentali Commenti alle opere
di Aristotele, che nell’Occidente latino gli valsero il titolo di “grande
commentatore”.
Come fa notare Monica, il
terreno delle traduzioni risulta essere particolarmente insidioso, soprattutto
quando vengono coinvolte le religioni. Ma questa non deve essere la
giustificazione per omettere o modificare parti appartenenti a testi secolari
come la Commedia dantesca. Ciò di cui vi è bisogno è contestualizzare
ciò che veniva scritto 700 anni fa. In generale, i soci della Dante di Anversa
hanno bocciato vistosamente quest’ultima traduzione, ritenuta mendace,
incompleta e fondamentalmente disonesta, in quanto tradurre comporta sì
adattare e mediare fra le culture, ma senza mutilare il testo.
Ristabilire
un contatto tra la cultura islamica e la cultura occidentale è certamente
possibile e, come afferma Monica, il ponte
tra queste due importanti culture può essere senza dubbio Dante e la Divina
Commedia.
Federica Pinna
In occasione dei rituali festeggiamenti
in onore di Sant’Efisio, Federica Pinna, tirocinante Erasmus+ della
Dante e laureanda in Filosofia e Teoria della comunicazione all’Università di
Cagliari, ha tenuto una presentazione per illustrare agli studenti e ai soci
della nostra associazione le origini del culto del Santo di Cagliari e per rivelare
l’importanza di tale ricorrenza religiosa, non solo per i cagliaritani, ma per
i fedeli e non provenienti da tutta la ragione. La processione è infatti
riconosciuta patrimonio immateriale dell’UNESCO dal 2014.
La presentazione si è tenuta il 30
aprile, data non casuale giacché la festività religiosa ricade il primo di
maggio. L’origine della data, come ha spiegato Federica, risale già al XVII
secolo, quando la città di Cagliari fece un voto al Santo per essere liberata
dalla peste: se Cagliari fosse riuscita ad affrontare tale flagello, ogni anno
si sarebbero tenute feste e processioni in onore di Sant’Efisio. Tuttavia,
prima ancora di svelare ogni curiosità riguardante i festeggiamenti, Federica
ci ha brevemente mostrato gli eventi più significativi della vita del Santo,
concentrando in poche, ma accurate righe, una vera e propria agiografia.
Nato in epoca imperiale, sotto
l’Imperatore Adriano, Sant’Efisio si è distinto fin dalla giovinezza per le sue
abilità belliche, fiero difensore del paganesimo durante una battaglia egli
ebbe un’apparizione che lo spinse alla conversione al cristianesimo. Anche
quando, successivamente, fu arrestato per la sua fede e torturato non abiurò
mai e poco prima dell’esecuzione della condanna a morte lanciò una protezione
sulla città di Cagliari, dal momento che nelle vicinanze si sarebbe svolta la
decapitazione.
Il legame con la Sardegna comincia già nell’XI secolo, quando vengono edificate in suo onore due chiese, una a Nora, l’altra a Cagliari, entrambe punti cruciali della processione che ogni anno da secoli si svolge nei primi quattro giorni di maggio incantando e attirando fedeli di tutto il mondo. Il culto del santo rappresenta un momento non solo di profondo raccoglimento religioso, ma soprattutto di aggregazione e di esaltazione delle tradizioni. Ecco perché la Festa si è tenuta ininterrottamente ogni anno dal 1657, anche durante i terribili anni della Seconda Guerra Mondiale e negli ultimi due anni, nonostante l’emergenza sanitaria che tutto il mondo sta affrontando.
Federica ha poi passato in rassegna,
con dovizia di particolari, i momenti cruciali della processione e le
tradizioni dei festeggiamenti. Dalla solenne investitura dell’Alter Nos da
parte del Sindaco – nel 2019 per la prima volta è stato il turno di una donna –
alla Messa nella chiesa edificata in onore del Santo. Il momento della
processione rappresenta un momento di viva esaltazione del folklore e delle
tradizioni sarde; protetto da diversi corpi di guardia vestiti in abiti
d’epoca, accompagnato dal suono delle launeddas e dal profumo dei petali di
rosa disseminati fuori la chiesa dalle donne vestite in abiti tradizionali, il
ricco cocchio con le reliquie di Sant’Efisio sfila per le strade di Cagliari
tra l’ammirazione e la gioia dei presenti.
Ciò che più ha attirato l’attenzione
degli ascoltatori è stata sicuramente la dedizione nella cura dei particolari
che i volontari mettono nell’allestimento della processione. Gli abiti e i
gioielli tradizionali hanno suscitato numerose domande e curiosità, così come
l’organizzazione della festa che è gestita dall’Arciconfraternita del
Gonfalone. Altrettanto interesse è stato dimostrato, poi, per il dialetto
sardo, il quale è riconosciuto come una lingua a tutti gli effetti pur non
godendo ancora dello statuto ufficiale. Infine, un’ultima domanda sul
significato profondo della Festa ha chiuso la presentazione di Federica, la
quale ha tenuto a sottolineare in ultima battuta l’importanza di tale evento,
molto sentito non solo dai credenti, ma da tutti gli abitanti di Cagliari e del
resto della Sardegna, che si riuniscono per ricontrare amici e famiglie per
festeggiare assieme. Il culto di Sant’Efisio è fortemente radicato nella
tradizione sarda e i suoi festeggiamenti rappresentano anche un momento di
rigenerazione e di celebrazione della stagione primaverile, con l’augurio ogni
anno di protezione per tutti gli abitanti dell’isola.
Manuela Caianiello
Team Erasmus+ della Dante di Anversa