Venerdì 7 aprile ha avuto luogo su Zoom il secondo appuntamento con le tirocinanti Erasmus + della Dante di Anversa. Monica Melis, dottoressa in Lingue e Comunicazione e laureanda in Filosofia e Teorie della comunicazione, ha esposto la sua presentazione sul rapporto tra il Sommo Poeta e la religione islamica.
Monica ha compiuto un
interessante excursus sui vari studi e teorie che, dal XVIII secolo, hanno
avanzato l’ipotesi del possibile legame tra il capolavoro dantesco con opere di
origine musulmana. La teoria più importante fu quella avanzata dal sacerdote
spagnolo, Don Miguél Asín-Palacios, dotto islamista e docente all’Università di
Madrid, il quale pubblicò i risultati di una sua lunga ricerca nell’opera
intitolata La Escatologia Musulmana en la Divina Comedia. Asín-Palacios
rilevò la somiglianza tra numerosi elementi simbolici presenti nella Commedia
dantesca e alcuni racconti arabi sull’Aldilà, in particolare quello del Miraj
(l’ascensione al cielo di Maometto), contenuti nel Libro della Scala.
Attraverso delle immagini particolarmente esplicative, Monica ha mostrato scrupolosamente le numerose somiglianze tra i racconti del Libro della Scala e la Commedia: durante il suo viaggio Maometto incontra alcune fiere che gli sbarrano il passo, un leone e un lupo, proprio come Dante, che però incontra il leone, il lupo e la lonza (forse, una lince o un leopardo). Proprio come il nostro Dante, Maometto non compie questo viaggio da solo ma è affiancato da una figura, l’arcangelo Gabriele, il quale lo guida come Virgilio guida Dante.
È stato particolarmente
interessante vedere come l’architettura degli Inferi e la cosmografia celeste
siano pressoché identiche: infatti, il modello dell’inferno musulmano e quello
dell’inferno dantesco possiedono entrambi una forma a imbuto formato da una
serie di ripiani, sette nel caso islamico, nove (dieci, compreso il limbo) in
quello dantesco. Anche l’inferno musulmano è suddiviso per la tipologia del
peccato commesso, e quindi anche dal punto di vista morale e vi sono delle analogie
anche tra le punizioni dei dannati: come nella Divina Commedia i
tormenti sono correlati alla propria colpa per analogia o per contrapposizione,
anticipando il famoso contrappasso. Inoltre, molte delle punizioni sono simili,
come quella afflitta ai cattivi figli, sommersi nel fuoco e tormentati da
demoni che li afferrano con ganci di ferro, proprio come i barattieri nella V
bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno dantesco.
Come l’inferno, anche la
cosmografia celeste risulta alquanto simile: Dante chiama sette cieli con i
nomi degli astri del sistema tolemaico, a cui aggiunge altre tre sfere: quella
delle stelle fisse, quella cristallina e l’empireo. Nella tradizione islamica
queste tre sfere rappresentano le ultime tre tappe del viaggio notturno del profeta
Muhammad: il loto, la casa abitata e il trono di Dio. I sette cieli invece sono
presidiati ognuno da un profeta e sono associati a un elemento alchemico.
Inoltre, sia nel paradiso dantesco che in quello islamico vi è l’impossibilità
di descrivere le visioni celesti a causa dei limiti dell’intelletto e delle
visioni umane. Infatti, la luce intensa del divino ottenebra la vista di
Maometto al punto che teme di diventare cieco: Gabriele prega Dio e fa sì che
Maometto sia in grado di vedere la luce, azione che per Dante viene compiuta da
Beatrice nel Paradiso.
Nonostante queste palesi somiglianze, la teoria di Asín-Palacios sollevò numerosissime polemiche nella critica letteraria: i dantisti, soprattutto italiani, dichiararono inammissibile l'ipotesi dell'ispirazione araba della Commedia e la rifiutarono. Ciò nonostante, il lavoro del sacerdote spagnolo diede un nuovo impulso agli studi danteschi nel mondo arabo e, di conseguenza, anche alle traduzioni della Commedia in lingua araba.
Tuttavia, tutte le traduzioni
arabe della Commedia si scontrano con la difficoltà di rendere
accettabili le posizioni teologiche dantesche ai lettori di fede musulmana,
poiché Maometto si trova, insieme a suo genero, nel canto XXIII dell'Inferno
tra i seminatori di discordie. Tale difficoltà risulta particolarmente evidente
nella traduzione del musulmano ‘Uthman, il quale nonostante sottolinei
continuamente i parallelismi esistenti tra l’opera dantesca e le opere
islamiche, decide di saltare del tutto quel passo dell’Inferno. La
giustificazione a questa sua azione si trova nelle note, nelle quali ‘Uthman
afferma di ritenere tali versi inappropriati da tradurre e che Dante ha
compiuto un errore poiché influenzato dall’opinione comune della sua epoca.
Anche se le più recenti traduzioni mantengono la cantica nella sua interezza, sostituendo il nome del Profeta con dei puntini di sospensione, esse rimangono oggetto di un dibattito che dura ancora oggi: è infatti recente l’episodio della traduzione in nederlandese dell’Inferno ad opera della fiamminga Lies Lavrijsen, nella quale viene omesso il nome di Maometto per non “offendere inutilmente” i lettori islamici. La questione ha sollevato un forte dibattito anche in Italia, poiché questa traduzione è uscita proprio durante le celebrazioni del settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta.
A tal proposito, il
professore dell’Università di Anversa, Rosario Gennaro, ha colto l’occasione
per chiarire la questione sulla veridicità della presenza di islamofobia
nell’opera del Sommo Poeta, spingendo il pubblico a riflettere sul fatto che,
se la casa editrice si è posto un problema, evidentemente si tratta di un tasto
dolente di cui dover parlare, preferibilmente evitando lo scontro.
Monica afferma che tale
accusa risulta infondata, poiché l’interesse e il rispetto che il Sommo Poeta
nutriva verso la cultura e letteratura islamica è alquanto noto: infatti, si
trovano nel limbo due grandi filosofi musulmani, Avicenna e Averroè, accanto ai
maggiori pensatori greci. Il primo è il nome latinizzato di Abu Ali al-Husain
ibn-Sina, noto nell’Occidente medioevale per due scritti di carattere
medico-filosofico, il Canone e il Libro della guarigione. Il
secondo nome latinizzato è quello del filosofo arabo-spagnolo Abul Walid
Mohammad Ibn Rushd, a cui si devono alcuni fondamentali Commenti alle opere
di Aristotele, che nell’Occidente latino gli valsero il titolo di “grande
commentatore”.
Come fa notare Monica, il
terreno delle traduzioni risulta essere particolarmente insidioso, soprattutto
quando vengono coinvolte le religioni. Ma questa non deve essere la
giustificazione per omettere o modificare parti appartenenti a testi secolari
come la Commedia dantesca. Ciò di cui vi è bisogno è contestualizzare
ciò che veniva scritto 700 anni fa. In generale, i soci della Dante di Anversa
hanno bocciato vistosamente quest’ultima traduzione, ritenuta mendace,
incompleta e fondamentalmente disonesta, in quanto tradurre comporta sì
adattare e mediare fra le culture, ma senza mutilare il testo.
Ristabilire
un contatto tra la cultura islamica e la cultura occidentale è certamente
possibile e, come afferma Monica, il ponte
tra queste due importanti culture può essere senza dubbio Dante e la Divina
Commedia.
Federica Pinna
Nessun commento:
Posta un commento