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martedì 18 maggio 2021

Dante e l’Islam – presentazione a cura di Monica Melis.

Venerdì 7 aprile ha avuto luogo su Zoom il secondo appuntamento con le tirocinanti Erasmus + della Dante di Anversa. Monica Melis, dottoressa in Lingue e Comunicazione e laureanda in Filosofia e Teorie della comunicazione, ha esposto la sua presentazione sul rapporto tra il Sommo Poeta e la religione islamica.



Monica ha compiuto un interessante excursus sui vari studi e teorie che, dal XVIII secolo, hanno avanzato l’ipotesi del possibile legame tra il capolavoro dantesco con opere di origine musulmana. La teoria più importante fu quella avanzata dal sacerdote spagnolo, Don Miguél Asín-Palacios, dotto islamista e docente all’Università di Madrid, il quale pubblicò i risultati di una sua lunga ricerca nell’opera intitolata La Escatologia Musulmana en la Divina Comedia. Asín-Palacios rilevò la somiglianza tra numerosi elementi simbolici presenti nella Commedia dantesca e alcuni racconti arabi sull’Aldilà, in particolare quello del Miraj (l’ascensione al cielo di Maometto), contenuti nel Libro della Scala.

Attraverso delle immagini particolarmente esplicative, Monica ha mostrato scrupolosamente le numerose somiglianze tra i racconti del Libro della Scala e la Commedia: durante il suo viaggio Maometto incontra alcune fiere che gli sbarrano il passo, un leone e un lupo, proprio come Dante, che però incontra il leone, il lupo e la lonza (forse, una lince o un leopardo). Proprio come il nostro Dante, Maometto non compie questo viaggio da solo ma è affiancato da una figura, l’arcangelo Gabriele, il quale lo guida come Virgilio guida Dante.


È stato particolarmente interessante vedere come l’architettura degli Inferi e la cosmografia celeste siano pressoché identiche: infatti, il modello dell’inferno musulmano e quello dell’inferno dantesco possiedono entrambi una forma a imbuto formato da una serie di ripiani, sette nel caso islamico, nove (dieci, compreso il limbo) in quello dantesco. Anche l’inferno musulmano è suddiviso per la tipologia del peccato commesso, e quindi anche dal punto di vista morale e vi sono delle analogie anche tra le punizioni dei dannati: come nella Divina Commedia i tormenti sono correlati alla propria colpa per analogia o per contrapposizione, anticipando il famoso contrappasso. Inoltre, molte delle punizioni sono simili, come quella afflitta ai cattivi figli, sommersi nel fuoco e tormentati da demoni che li afferrano con ganci di ferro, proprio come i barattieri nella V bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno dantesco.


Come l’inferno, anche la cosmografia celeste risulta alquanto simile: Dante chiama sette cieli con i nomi degli astri del sistema tolemaico, a cui aggiunge altre tre sfere: quella delle stelle fisse, quella cristallina e l’empireo. Nella tradizione islamica queste tre sfere rappresentano le ultime tre tappe del viaggio notturno del profeta Muhammad: il loto, la casa abitata e il trono di Dio. I sette cieli invece sono presidiati ognuno da un profeta e sono associati a un elemento alchemico. Inoltre, sia nel paradiso dantesco che in quello islamico vi è l’impossibilità di descrivere le visioni celesti a causa dei limiti dell’intelletto e delle visioni umane. Infatti, la luce intensa del divino ottenebra la vista di Maometto al punto che teme di diventare cieco: Gabriele prega Dio e fa sì che Maometto sia in grado di vedere la luce, azione che per Dante viene compiuta da Beatrice nel Paradiso.

Nonostante queste palesi somiglianze, la teoria di Asín-Palacios sollevò numerosissime polemiche nella critica letteraria: i dantisti, soprattutto italiani, dichiararono inammissibile l'ipotesi dell'ispirazione araba della Commedia e la rifiutarono. Ciò nonostante, il lavoro del sacerdote spagnolo diede un nuovo impulso agli studi danteschi nel mondo arabo e, di conseguenza, anche alle traduzioni della Commedia in lingua araba.

Tuttavia, tutte le traduzioni arabe della Commedia si scontrano con la difficoltà di rendere accettabili le posizioni teologiche dantesche ai lettori di fede musulmana, poiché Maometto si trova, insieme a suo genero, nel canto XXIII dell'Inferno tra i seminatori di discordie. Tale difficoltà risulta particolarmente evidente nella traduzione del musulmano ‘Uthman, il quale nonostante sottolinei continuamente i parallelismi esistenti tra l’opera dantesca e le opere islamiche, decide di saltare del tutto quel passo dell’Inferno. La giustificazione a questa sua azione si trova nelle note, nelle quali ‘Uthman afferma di ritenere tali versi inappropriati da tradurre e che Dante ha compiuto un errore poiché influenzato dall’opinione comune della sua epoca.

Anche se le più recenti traduzioni mantengono la cantica nella sua interezza, sostituendo il nome del Profeta con dei puntini di sospensione, esse rimangono oggetto di un dibattito che dura ancora oggi: è infatti recente l’episodio della traduzione in nederlandese dell’Inferno ad opera della fiamminga Lies Lavrijsen, nella quale viene omesso il nome di Maometto per non “offendere inutilmente” i lettori islamici. La questione ha sollevato un forte dibattito anche in Italia, poiché questa traduzione è uscita proprio durante le celebrazioni del settecentesimo anniversario della morte del Sommo Poeta.


A tal proposito, il professore dell’Università di Anversa, Rosario Gennaro, ha colto l’occasione per chiarire la questione sulla veridicità della presenza di islamofobia nell’opera del Sommo Poeta, spingendo il pubblico a riflettere sul fatto che, se la casa editrice si è posto un problema, evidentemente si tratta di un tasto dolente di cui dover parlare, preferibilmente evitando lo scontro.

Monica afferma che tale accusa risulta infondata, poiché l’interesse e il rispetto che il Sommo Poeta nutriva verso la cultura e letteratura islamica è alquanto noto: infatti, si trovano nel limbo due grandi filosofi musulmani, Avicenna e Averroè, accanto ai maggiori pensatori greci. Il primo è il nome latinizzato di Abu Ali al-Husain ibn-Sina, noto nell’Occidente medioevale per due scritti di carattere medico-filosofico, il Canone e il Libro della guarigione. Il secondo nome latinizzato è quello del filosofo arabo-spagnolo Abul Walid Mohammad Ibn Rushd, a cui si devono alcuni fondamentali Commenti alle opere di Aristotele, che nell’Occidente latino gli valsero il titolo di “grande commentatore”.


Come fa notare Monica, il terreno delle traduzioni risulta essere particolarmente insidioso, soprattutto quando vengono coinvolte le religioni. Ma questa non deve essere la giustificazione per omettere o modificare parti appartenenti a testi secolari come la Commedia dantesca. Ciò di cui vi è bisogno è contestualizzare ciò che veniva scritto 700 anni fa. In generale, i soci della Dante di Anversa hanno bocciato vistosamente quest’ultima traduzione, ritenuta mendace, incompleta e fondamentalmente disonesta, in quanto tradurre comporta sì adattare e mediare fra le culture, ma senza mutilare il testo.

Ristabilire un contatto tra la cultura islamica e la cultura occidentale è certamente possibile e, come afferma Monica, il ponte tra queste due importanti culture può essere senza dubbio Dante e la Divina Commedia.


Federica Pinna

Team Erasmus+ 2021
La Dante di Anversa 

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