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sabato 11 luglio 2020

L'infinito Morricone


Pare ormai conclamato che la mancata candidatura all'Oscar di Ennio Morricone per le musiche originali di C'era una volta in America, nel 1984, fu conseguenza non di una sottovalutazione della celebre - e plauditissima- partitura per l'epopea gangster interpretata da Robert De Niro e James Woods, ma di una banale inadempienza: i produttori del film non riuscirono a sottoporre correttamente la documentazione necessaria per presentare alla considerazione dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences il film nella categoria musiche, invalidando a priori qualsiasi chance di vittoria del già apprezzatissimo compositore romano, alla sua sesta ed ultima collaborazione con il suo amico d’infanzia e regista d'eccezione, Sergio Leone.


Nel 2007, quando il sottoscritto ebbe modo e privilegio di conversare, insieme a Massimo Privitera, con l'artista in un lungo e indimenticato incontro appositamente organizzato dal mensile Colonne Sonore in collaborazione con la Casa del Cinema di Roma, sembrava evidente quanto la statuetta d'oro che si accingeva finalmente a ritirare di lì a qualche giorno - infine giunta a premiare non un singolo commento musicale bensì un'intera carriera - avesse principalmente il valore del gesto riparatore piuttosto che dell'attesissimo e sdoganante conferimento. Non fosse altro perché un premio pur così ambito davvero poco avrebbe potuto convalidare, aggiungere o nobilitare ad un nome, un talento, un genio e una carriera, che già trent'anni prima poteva vantare i meriti e la fama di pochi altri esponenti musicali imprescindibili nella storia della cultura moderna e contemporanea. Forse già icona trasversale e internazionale del connubio musica e immagini in movimento.

Estratto video della serata del 16/02/2007 con Morricone

E in quella serata del 16 febbraio, nel cuore di Roma, in una sala gremita di pubblico, amici di sempre, colleghi e ammiratori indissolubili, Morricone lo sapeva e ce ne accorgemmo subito. Emozionato certo, contento e fiero del tardo ma comunque apprezzato conferimento, il musicista apparve lucidissimo, mordace e schietto come sempre, ringraziava, ma forse ben cosciente che a 79 anni, circa 500 film musicati, innumerevoli concerti, una discografia praticamente sconfinata, schiere di imitatori e un'influenza tale nel suo settore paragonabile forse solo a quella con Bernard Herrmann, quel premio senz’altro aveva il sapore del palmares che, ad un certo punto, di differenza ne fa veramente poca e sconfina nella dovuta formalità.

Avrebbe bissato poco meno di dieci anni dopo aggiudicandosi (assai meritoriamente) una seconda statuetta per lo score all’unico dei film che Quentin Tarantino ha attualmente scelto di far accompagnare da musiche appositamente composte, The Hateful Eight. Eppure, all’indomani così ancora toccante e stordente della scomparsa del compositore a 92 anni, ragionando su come e quando davvero verrà raccolta debitamente e scrupolosamente la sua sconfinata e ampia lezione musicale per lo schermo, al di là dei clangori e degli inni fin troppo risaputi, ci si domanda guardando indietro, quanto poco conti una statuetta se dall’altra parte a fare i fatti (e qualche volta i film), bastano le musiche. A chi volesse capire meglio, si suggerisce di vedere (probabilmente, di rivedere) Il Buono, il Brutto, il Cattivo. Resistendo per una volta al richiamo preponderante dell’infallibile galloping del rutilante tema principale o dei passaggi lirici caratterizzati dalla voce di Edda Dell’Orso, ci si soffermi sul momento in cui il picaresco Tuco di Eli Wallach, dopo aver fatto ricoverare il “Biondo” Clint Eastwood in una missione di francescani, s’ingegna, solo nel corridoio del convento, a ragionare sul da farsi per strappare al compare di viaggio l’ubicazione di una tomba piena d’oro. Morricone, in una manciata di secondi, si accosta al personaggio, quasi complice e sornione, sbrigliando un intervento puntuale, minuzioso, brillantissimo per scelta melodica, coerenza tematica e timbrica orchestrale. Un cesello che, in un raro ed esemplare fenomeno di perfetta sinergia tra musica e immagine, materializza quasi concretamente i cinici intenti del personaggio, finanche ad emanarne musicalmente le macchinazioni mentali dello scalcinato bandito.


Si approfitti dunque della scomparsa di questo titano per riconsiderare l’arte della musica da film. Quella autentica. È in quegli interventi magari secondari o “tecnici” (ma che si annidano nell’inconscio dello spettatore come pochi altri), di basso minutaggio, dove il compositore si sporca davvero le mani con il cronometro e la bacchetta, a far di conto tra le esigenze della scena e le necessità di sviluppo e integrità musicale, che brillano probabilmente le più indicative delle attestazioni di grandezza: il mestiere, l’intuito e il genio. Molto più di quanto, con tutto il rispetto, brillino due statuette d’oro.
Giuliano Tomassacci

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