“Bravo italiano!”,
“Canta ancora, tu porti gioia al cuore!”, “Canti bene italiano!” gridano i
soldati tedeschi nel capolavoro di Ermanno Olmi Torneranno i prati.
Così, individuando
in una canzone dal testo popolare il senso profondo di una sopravvivenza
agognata, l’esercito nemico ascolta tra la neve la voce melodiosa di un soldato
italiano, su un fronte di guerra candido, epurato da ogni segno di umana
civiltà. Quella voce, così semplice e immediata, rappresenta infatti un
momentaneo sollievo per lo spirito, una pausa sonora in quel silenzio asettico
e privo di tempo, in cui le notti rincorrono le notti e la mente anela una via
di fuga che dia sostegno al corpo.
Sembra paradossale
partire da una citazione così alta, da un film d’autore così intimo e sofferto,
per parlare di Luigi Ciaravola, in arte Gigione, protagonista di un
documentario dalle tinte folkloristiche, ospitato dalla Filmhuis Klappei in
occasione del Festival del Cinema Sociale, nella stessa giornata del film di
Olmi. Eppure, l’uomo che emerge dal documentario di Valerio Vestoso, Essere Gigione, una volta indossata
l’uniforme del cantante, sembra ricoprire una missione non distante da quella
del soldato olmiano: invocato dalla folla, risponde alla richiesta di evasione
di un uditorio ben preciso, quello della provincia italiana del centro-sud,
dove le feste di piazza interrompono il susseguirsi dei giorni, allontanando
per un attimo i pensieri dalle piccole prigioni quotidiane.
Gigione, guardato
con circospezione da una certa parte d’Italia, viene spesso percepito come la
caricatura di se stesso, per la schiettezza dei gesti, il modo di vestire
diventato quasi un marchio di fabbrica
(immancabile il berretto e la t-shirt a maniche corte), ma soprattutto per le
tematiche affrontate nei testi, che vanno dalla più pia devozione religiosa
alla profanità più licenziosa, in un modo che farebbe sorridere (o inorridire a
seconda dei casi) una mente mediamente istruita, senza andare a scomodare le
vette più alte dell’intellettualismo. Una vera e propria macchietta se poi a
conoscerlo, per la prima volta, al cinema, è un pubblico composto per la
maggior parte da stranieri.
Tuttavia, il pregio
del lavoro presentato da Vestoso non risiede tanto nel ritratto esuberante
dell’artista e del suo fenomeno (così eclatante da sembrare inspiegabile)
quanto nell’uomo che si cela dietro ai motivetti facili e allusivi e che, di
tanto in tanto, fa capolino nella narrazione. Quando cioè è Luigi Ciaravola a
raccontare il suo essere Gigione.
Nel turbinio di
kermesse che animano i paesini del centro e del sud Italia durante il periodo
estivo, quando il caldo rende tutto più caotico e chiassoso, l’abbigliamento,
le posture, i rumori e persino gli odori, Gigione si muove da vero mestierante
(con tutta la nobiltà semantica racchiusa nella definizione di chi sa come
svolgere il proprio mestiere). Nonostante l’età, non si sottrae ai numerosi
chilometri da percorrere per esibirsi anche in più concerti nella stessa
giornata. Non si scompone se il camerino è composto da una tenda tirata su alla
buona nel retro del palco, o nel mezzo di una campagna, e vi attende in
silenzio e con pazienza, raccogliendo le energie, come un leone in attesa di salire
nell’arena. Non cena per non compromettere la performance. Conosce
perfettamente quello che il pubblico si aspetta da lui e gli dà esattamente
quello che vuole, muovendosi tra la gente con la consapevolezza di chi sa di
avere indovinato la formula vincente.
Gigione esercita la
musica come mestiere, come raccontano le storie di molti uomini della sua
generazione che, pur spinti da vocazioni artistiche, hanno anteposto ad esse le
necessità primarie. In una piccola chiosa, scopriamo ad esempio che Luigi, cresciuto
in una famiglia di musicisti, aveva iniziato sin dalla tenera età ad apprezzare
il jazz (genere quantomeno sofisticato) ma che aveva poi scelto di
abbandonarlo, perché col jazz “non si mangia”. Ciò lo ha portato a ricercare, e
a trovare, la giusta strada per arrivare al cuore del suo pubblico, il più
vasto e popolare possibile. E il suo pubblico lo ha premiato, trasformandolo in
un idolo.
L’ascolto delle sue
canzoni (sapientemente inserite in maniera extradiegetica da Vestoso in punti
cardine della narrazione) e le scene di adorazione da parte dei suoi fan
(sottolineate da inquadrature strette sui volti a catturarne le espressioni o
su dettagli del vestiario che rinviano a precise connotazioni sociali) hanno
strappato più di un sorriso nell’atmosfera sospesa della sala cinematografica,
tra il divertito e l’incredulo.
Gli spettatori più
scettici si saranno persino chiesti: a che pro girare un documentario su un
personaggio del genere, tanto popolare sì, ma solo per il “popolo”? Ecco allora
che l’attenzione deve necessariamente spostarsi dall’uomo al fenomeno.
Per trovare una
possibile risposta a questa domanda, basta infatti soffermarsi su alcune delle
storie raccontate dai suoi fan. Prima fra tutte quella di un’ex ballerina
classica che, avendo perso l’uso totale del corpo in seguito a un incidente
stradale, riesce ora a ritrovare la gioia e la leggerezza di un tempo solo
intonando le sue canzoni e partecipando ai concerti, dove l’empatia con il
pubblico non manca mai.
Una volta ascoltata
la storia di questa ragazza, tutte le risate sgraziate, i trucchi e i tacchi
esagerati, i cori sguaiati e i balli scomposti, sui quali tanto aveva insistito
l’occhio ironico e dissacrante della telecamera, cambiano improvvisamente di
significato e la risata lascia il posto alla riflessione. Il grottesco scompare
quando ci si rende conto che ciò a cui si sta assistendo non è altro che la
manifestazione di un’esigenza atavica, il bisogno universale di prendere parte
a un rito collettivo, per condividere con gli altri, nello spazio comune di una
piazza, il proprio stato d’animo, godere di un momento di evasione con i mezzi
semplici che si hanno a disposizione. Non importa lo spessore del testo o la
nota stonata, ma il motivo leggero che rinfranca lo spirito.
E allora che canti
Gigione! “Bravo italiano”, “Canta ancora, tu porti gioia al cuore!”, “Canti
bene italiano!”.
Rossella Pensiero
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