Nel corso del suo intervento presso l’Università di Anversa il dottor Andrea De Luca, ricercatore di origine abruzzese oggi insegnante a Bruxelles,
ha parlato ai nostri soci di un genere da sempre poco considerato nella
Letteratura italiana “di serie A”: il giallo.
La storia del giallo in Italia andrebbe invece completamente
rivalutata, secondo De Luca, non solo perché il genere permise di denunciare,
in forma velata, le disfunzioni del sistema sociale del sud Italia alla vigilia
e all’indomani dell’Unificazione, ma anche perché tra i primi gialli italiani troviamo
opere che furono di probabile ispirazione per scrittori come Arthur Conan
Doyle, padre letterario di Sherlock Holmes.
Ma partiamo dal principio. Stando all’attenta ricostruzione di De
Luca, contrariamente a quanto si è ormai consolidato nell’opinione comune, in
Italia questo genere non nasce con la collana della casa editrice Mondadori,
che alla fine degli anni ’20 gli attribuisce per la prima volta, e con successo,
un colore e un nome definitivi. Secondo la critica ufficiale infatti il primo giallo italiano sarebbe da individuare nel romanzo Il cappello del prete (1888) di Emilio
De Marchi, scrittore della Scapigliatura milanese che sceglie di ambientare
la vicenda a Napoli, dove il mistero legato all’omicidio di un sacerdote
vortica attorno al ritrovamento di un suo oggetto personale: il cappello.
A questo punto però De Luca fa un passo in più rispetto a quanto
affermato dalla critica, andando a scovare nei prodromi del genere quello che
per lui può essere già considerato un giallo a tutti gli effetti e, soprattutto,
individuando in quest’opera i punti di contatto con i romanzi di Conan Doyle.
Il libro in questione è Il mio
cadavere (1852) del napoletano Francesco Mastriani, il quale sebbene non
veda l’intervento di un investigatore, possiede già nella trama alcuni elementi
cardine del genere (come la presenza di un morto e di un’autopsia).
L’opera di Mastriani esce sotto forma di romanzo di appendice sulla
rivista Omnibus, in un periodo particolarmente fiorente per l’editoria europea
e per il Regno delle Due Sicilie in particolare, grazie ai primati raggiunti da
Ferdinando II di Borbone. Ma in qualche modo già canalizza i molteplici disagi vissuti dalla società italiana meridionale, in un periodo in cui i Borbone
avvertono in maniera sempre più pressante la minaccia della perdita del potere
e inaspriscono le misure punitive contro ogni forma di detrazione politica. Una
tensione che esploderà con l’Unità d’Italia, quando masse organizzate di
contadini insorgeranno contro il regime di tassazione imposto da Cavour, dando
vita ai primi germogli di criminalità organizzata contro lo Stato.
A Mastriani spetta il merito di aver descritto alla perfezione nelle
sue opere il momento storico che stava vivendo, unendo all’impronta verista (evidente
nella scelta di un linguaggio mimetico alla realtà sociale dei personaggi), il
tema dell’investigazione. Favorendo perciò quello che Antonio Gramsci definì un
“nuovo Umanesimo” per le persone meno alfabetizzate, attratte dalla narrativa
d’appendice.
Mastriani era anche un appassionato di Spiritismo ed era entrato in
contatto con Giovanni Damiani, membro della Society Psychical Research of London
e collaboratore dei baroni di Chiaia, presso i quali lavorava, in qualità di
bambinaia, la celebre medium napoletana Eusapia Palladino, i cui “poteri” furono
oggetto di studio da parte della comunità scientifica internazionale (da Cesare
Lombroso a Pierre e Marie Curie). I pareri illustri che si concentrarono su di
lei non fecero che alimentare la curiosità delle persone nei confronti del paranormale,
provocando il proliferare di libri in cui il sensazionalismo emotivo (legato ai
temi della morte e dell’occulto), incontrava l’espediente della suspense. La
combinazione tra Spiritismo e giallo si rivelò perfetta ai fini delle
vendite.
È qui che tra i vari autori (Capuana, Bracco, Verdinois) entra in
gioco anche Conan Doyle che nel 1926 scrive History
of Spiritualism, manifestando il suo interesse per questo campo. Si
potrebbe pensare, secondo l’ipotesi di De Luca, che l’autore di Sherlock
Holmes, per gli interessi e gli ambienti frequentati, sia potuto entrare in
contatto con l’opera dello scrittore napoletano, pubblicata 34 anni prima. Molti
sarebbero gli elementi che ci guiderebbero
in questa direzione: le scelte narrative (i personaggi del Dott. Weiss e del
Dott. Watson, le morti per avvelenamento), il fatto che entrambi gli scrittori conobbero
Eusapia Palladino, i numerosi viaggi a Napoli di Doyle e il titolo di Cavaliere
conferitogli da Francesco Crispi (anche lui appassionato di Spiritismo), o il
fatto che Filippo Mastriani (figlio dello scrittore) sia stato traduttore dei
primi due racconti di Sherlock Holmes, coincidenza che rafforzerebbe l’ipotesi
di un loro legame.
Lo scenario inedito delineato da Andrea De Luca, e presentato in
anteprima ai soci della Dante di Anversa, sarà argomento di una prossima
pubblicazione presso la casa editrice Marsilio di Venezia. A lui va il nostro
in bocca al lupo e l’augurio che il libro possa riscuotere lo stesso successo
di pubblico che rese celebre il genere da lui analizzato.
Rossella Pensiero
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