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domenica 24 giugno 2018

La conferenza del 21 giugno su Parronchi e Marcucci


Cari soci,
per me è stato un piacere chiudere il ciclo delle conferenze di quest’anno parlandovi di due personaggi che ho particolarmente a cuore: il pittore Mario Marcucci e il poeta Alessandro Parronchi.



Come richiesto da alcuni di voi, pubblico qui una poesia di Parronchi a mia scelta, che potrete apprezzare con calma nel tempo della lettura individuale. Si tratta della poesia-autoritratto che Parronchi scrisse per sua figlia Agnese, quando aveva appena quattro anni, e che meglio sintetizza la personalità dell’autore.

 


Io vi ringrazio ancora per essere stati presenti e vi ricordo l’appuntamento con il concerto del 15 agosto che inaugurerà il nuovo sistema d’illuminazione della facciata della Sint-Carolus Borromeuskerk. Spero di rivedervi il prossimo anno, più numerosi ed entusiasti che mai.

Buona estate a tutti,
Rossella Pensiero




Da Pietà dell’atmosfera (1960-’70)

AUTORITRATTO ALLA FIGLIA PER QUANDO AVRÀ VENTUN ANNI

Quattro anni, e non ancora
qualche verso per te.
E menomale che non puoi volermene.
Passerà molto tempo
prima che tu ti accorga che ai quattro anni
tuo padre non aveva
tentato ancora, né saputo dirti
in versi tutto il bene che ti vuole.
Mi decido, ti scrivo per quel giorno
una lettera, per i tuoi ventun anni,
che spero di vedere, ma se pure
li vedrò, chi sa mai se saprò, allora,
dirti quello che in cuore
sento, e sentirò sempre: anche se in questo
mondo che ad ogni istante si trasforma
dovessi rimaner senza parole.

Eccolo qui tuo padre.
Antiquato, lavora tutto il giorno.
La sera è stanco morto, e non guadagna
Tanto da metter su l’utilitaria.
Non corre all’arrembaggio, non riesce
in un mondo dove arricchire è legge,
a ingegnarsi, a intrigare, a prevedere.
Eccita l’ironia del progressista
e l’eterno fascista lo perseguita,
riman sempre alla striglia dei burocrati,
e il lavoro già fatto non gli conta,
deve ricominciar sempre da capo.
È vecchio, e non disarma. E ancora lotta
contro mulini a vento, polemizza
con l’imbroglio dell’arte del suo tempo.
Fra diecimila pittori operanti
Stima ancora, da quando lo conobbe
Il vecchio Mario. E stupore lo prende
tra il rigoglio di tante intelligenze
d’essere stato il primo a sostenerlo.
Donna e letteratura tien distinte,
amandole ambedue, ma non talmente
da non stimarle un pericolo unite.
Così non ama il sud, e il nord lo stomaca.
È un fiorentino, e pensa che il dialetto
oggi è soltanto sofisticheria,
e il romanesco in special modo reputa
linguaggio vil dell’itala sozzura.
Per qualche verso di Nerval,
tutto Éluard, tutto Neruda, tutto Brecht,
e ancora tutto Pascoli darebbe.
È il romanzo per lui genere morto,
che solo l’abitudine e un intrigo
di bas-bleu tiene in vita.
Salvo, s’intende, lo «Scialo» e le «Cronache»,
che Vasco, amico suo, scrisse con cuore
e nervi ed esperienza.
Per pochi, ultimi amici ama il presente,
questo suo tempo disperato e amaro
che con le proprie mani si distrugge,
e tante cose che ha veduto risorgere
del mondo dove nulla è nuovo e pure,
se guardato, a ogni punto è meraviglia.
Tra gli uomini di scienza ripartiti,
come in ogni altro senato accademico,
stima fiori di ingegni e di citrulli,
che nel corso di qualche esperimento,
assecondano i disegni del Padre,
come bimbo che disfa il suo giocattolo
la nostra terra manderanno in pezzi.
Si ride del progresso, e ogni poetica
gl’ispira incoercibile disgusto,
che dalle facce non può separarla
di chi per profittarne la sostiene.
E quel che accade, al suo intelletto chiede
solo d’umanità palpito e strazio.
Di queste convinzioni egli ha pagato
e paga e pagherà il peso e l’orgoglio.

Tu crescerai. Saprai in che modo il saggio
Salomone s’accorse
di quale delle due fosse la vera
madre,
dalle caverne della pietra
sentirai come scorre dolce l’acqua
del Giordano,
e come piume al ramo
vadano, come amore al cor gentile.
Nel mentre che parole tanto futili,
ma tanto dolci e futili, ma care,
non potrai non udire… Ah, finché puoi
guardati dagli artigli dei rapaci,
né mai insidia di serpe tra i cespugli
-che in mentre che ti parlo il male esiste
e avanza- tocchi te bambina mia.
Gioca, salta, rincorri, sgrana gli occhi
lucenti alla purpurea meraviglia
d’un cielo di tramonto. Anche di te
la vita che decide farà donna
che la vita conosce. Ma sarà
contento il padre se una volta uditala
saprai che sempre esiste la parola
che dà certezza, incendia,
oltrepassa la morte.
                                     Così al mondo
potessi essere tu l’ultima vera
madre, come mia madre,
come le nostre buone, vecchie madri
che santamente vivono nell’ombra
e non conobbero altra legge che d’affetto.



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