Il carnevale, in opposizione alla festa
ufficiale, era il trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalla verità
dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti
gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù. Era l’autentica festa del
tempo, del divenire, degli avvicendamenti e del rinnovamento. Si opponeva a
ogni perpetuazione, a ogni carattere definitivo e a ogni fine. Volgeva il suo
sguardo all’avvenire incompiuto.
M. Bachtin
Dagli
episodi della vita possono nascere idee, spunti di riflessione e storie da
raccontare, con personaggi propri le cui vicende si intrecciano nel fluire
delle narrazioni. Attraverso il processo
drammaturgico è possibile seguire l’arco
del personaggio, la sua evoluzione e i valori
di cui è portatore, nel bene o nel male.
Durante
le giornate del 12 e 13 marzo si è
tenuto lo spettacolo TVATT ad
Anversa, promosso dalla Società Dante Alighieri di Anversa, al Theather ‘t Klokhuis. Lo spettacolo
si è tenuto anche il 14 marzo a
Bruxelles e il 15 marzo ad Amsterdam
presso gli Istituti Italiani di Cultura.
TVATT è l’acronimo di teorie violente aprioristiche e territoriali,
ed è un’espressione usata nei dialetti campani dal significato “ti picchio”.
Infatti, il tema principale dello spettacolo teatrale è appunto la violenza,
quella violenza fisica e primordiale che viene mostrata per la prima volta in
forma drammaturgica. Il
drammaturgo Luigi Morra, insieme
agli attori Pasquale Passaretti ed Eduardo Ricciardelli, mette in scena
tre personaggi che interagiscono con il pubblico, sgretolando definitivamente
la quarta parete. Ed è proprio nella
logica dell’interazione che lo spettacolo prende vita. L’attenzione nel
mostrare i personaggi secondo un preciso gioco di luci ed ombre, operato dal
regista Domenico Catano (che dello spettacolo ha curato le parti video, oltre a seguire attentamente il lato tecnico -luci e audio), insieme
all’accompagnamento della musica dei Camera
(composti da Antonio Arcieri, Marco Pagliaro e Agostino Pagliaro), permette allo spettatore di immedesimarsi nei
panni di chi provoca e di chi subisce la violenza.
In
questo modo c’è un ritorno alla catarsi greca portatrice di nuovi significati
per lo spettatore, senza ricorrere alla tragedia ma al carnevalesco. Il
carnevale, secondo il filosofo e critico letterario M. Bachtin, è il rovesciamento, temporale e ambiguo, dell'ordine
sociale (L’opera di Rabelais e la cultura
popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione popolare e rinascimentale,
Torino 1979).
Le
tre figure dei bruti, impersonate da Luigi
Morra, Pasquale Passaretti ed Eduardo Ricciardelli, sono lo specchio
di questa concezione del carnevalesco. La
maschera e la figura del clown partecipano alla mistificazione degli oggetti di
scena, che si muovono alla ricerca di un’estetica contemporanea o sperimentale
in cui tutto sembra leggero e sospeso, ma che si presta ad un dinamismo dei
corpi che riporta l’attenzione dello spettatore al tema principale.
La
violenza, di uno sguardo o di un atteggiamento, che sia essa fisica o
psicologica, si muove parallelamente alla cultura e all’uomo, con forme sempre
nuove.
Il
tema dibattuto è strettamente contemporaneo, nonostante il suo essere arcaico e
allo stesso tempo l’archetipo del conquistatore, di colui che necessita di
ottenere il consenso altrui mediante la propria imposizione.
Quando
si è di fronte alla violenza non esistono più classi sociali o filtri
ermeneutici. Non c’è dialogo, non c’è ragione. Esiste il tu ed io. Attraverso
il meccanismo dell’immedesimazione lo spettatore è in grado di percepire quella
tensione che è l’obiettivo dello spettacolo: comunicare un’emozione chiara e
tangibile.
Il
disvelamento provocato da queste emozioni provoca infine un arricchimento
morale in quanto consapevolezza del proprio Io, che si mostra sempre in quanto
verità di fronte alla paura e all’ignoto.
Erminio Tota
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