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lunedì 9 aprile 2018

TVATT: l’interazione dello spettacolo come cifra del contemporaneo e disvelamento catartico dell’Io nel carnevalesco.


Il carnevale, in opposizione alla festa ufficiale, era il trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalla verità dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù. Era l’autentica festa del tempo, del divenire, degli avvicendamenti e del rinnovamento. Si opponeva a ogni perpetuazione, a ogni carattere definitivo e a ogni fine. Volgeva il suo sguardo all’avvenire incompiuto.
M. Bachtin



Dagli episodi della vita possono nascere idee, spunti di riflessione e storie da raccontare, con personaggi propri le cui vicende si intrecciano nel fluire delle narrazioni. Attraverso il processo drammaturgico è possibile seguire l’arco del personaggio, la sua evoluzione e i valori di cui è portatore, nel bene o nel male.

Durante le giornate del 12 e 13 marzo si è tenuto lo spettacolo TVATT ad Anversa, promosso dalla Società Dante Alighieri di Anversa, al Theather ‘t Klokhuis. Lo spettacolo si è tenuto anche il 14 marzo a Bruxelles e il 15 marzo ad Amsterdam presso gli Istituti Italiani di Cultura.

TVATT è l’acronimo di teorie violente aprioristiche e territoriali, ed è un’espressione usata nei dialetti campani dal significato “ti picchio”. Infatti, il tema principale dello spettacolo teatrale è appunto la violenza, quella violenza fisica e primordiale che viene mostrata per la prima volta in forma drammaturgica. Il drammaturgo Luigi Morra, insieme agli attori Pasquale Passaretti ed Eduardo Ricciardelli, mette in scena tre personaggi che interagiscono con il pubblico, sgretolando definitivamente la quarta parete. Ed è proprio nella logica dell’interazione che lo spettacolo prende vita. L’attenzione nel mostrare i personaggi secondo un preciso gioco di luci ed ombre, operato dal regista Domenico Catano (che dello spettacolo ha curato le parti video, oltre a seguire attentamente il lato tecnico -luci e audio), insieme all’accompagnamento della musica dei Camera (composti da Antonio Arcieri, Marco Pagliaro e Agostino Pagliaro), permette allo spettatore di immedesimarsi nei panni di chi provoca e di chi subisce la violenza.

In questo modo c’è un ritorno alla catarsi greca portatrice di nuovi significati per lo spettatore, senza ricorrere alla tragedia ma al carnevalesco. Il carnevale, secondo il filosofo e critico letterario M. Bachtin, è il rovesciamento, temporale e ambiguo, dell'ordine sociale (L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione popolare e rinascimentale, Torino 1979).




Le tre figure dei bruti, impersonate da Luigi Morra, Pasquale Passaretti ed Eduardo Ricciardelli, sono lo specchio di questa concezione del carnevalesco. La maschera e la figura del clown partecipano alla mistificazione degli oggetti di scena, che si muovono alla ricerca di un’estetica contemporanea o sperimentale in cui tutto sembra leggero e sospeso, ma che si presta ad un dinamismo dei corpi che riporta l’attenzione dello spettatore al tema principale.

La violenza, di uno sguardo o di un atteggiamento, che sia essa fisica o psicologica, si muove parallelamente alla cultura e all’uomo, con forme sempre nuove.
Il tema dibattuto è strettamente contemporaneo, nonostante il suo essere arcaico e allo stesso tempo l’archetipo del conquistatore, di colui che necessita di ottenere il consenso altrui mediante la propria imposizione.




Quando si è di fronte alla violenza non esistono più classi sociali o filtri ermeneutici. Non c’è dialogo, non c’è ragione. Esiste il tu ed io. Attraverso il meccanismo dell’immedesimazione lo spettatore è in grado di percepire quella tensione che è l’obiettivo dello spettacolo: comunicare un’emozione chiara e tangibile. 
Il disvelamento provocato da queste emozioni provoca infine un arricchimento morale in quanto consapevolezza del proprio Io, che si mostra sempre in quanto verità di fronte alla paura e all’ignoto.

Erminio Tota
   


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