Nella seconda parte
dell’intervista al cast di TVATT, vi
proponiamo il pensiero del regista Luigi Morra… buona lettura!
-Come nasce lo spettacolo e
quanto c’è di autobiografico? In che modo l’esperienza personale del regista si
riflette ad esempio nel brano che da ultimo sembra dare significato all’intera
rappresentazione?
Lo spettacolo nasce da una un’esigenza
che porto dentro da diversi anni: trasformare le energie di una determinata
materia in performance teatrale. La curiosità che mi ha portato a TVATT è certamente legata a esperienze
osservate, vissute indirettamente e a tratti anche direttamente, ma non per
questo definirei il lavoro autobiografico. Ci sono io sicuramente, ma a questo non
si sfugge mai, quando si scrive e si sta in scena. Il testo finale l’ho scritto per il primo
esperimento di TVATT, una breve
performance presentata a Lunarte nel 2014.
Avevo una serie di spunti su cui improvvisare, alcune primissime registrazioni,
il microfono, gli zoccoli e questo testo. Sviluppando il lavoro, quel testo è
finito in secondo piano e la necessità di farlo quasi scomparire la sveliamo in
scena.
-Lo spettacolo circola in Italia già da alcuni anni e col tempo si è
arricchito di espedienti performativi diversi: l’interazione con il pubblico,
il monologo, l’utilizzo della loop station, il contributo video, come a voler
sfruttare al massimo tutti mezzi che il teatro mette a disposizione, in maniera
ampia ma ragionata.
A proposito del contributo video, qual è il valore che questo aggiunge alla
narrazione? Cosa raccontano quelle immagini che non poteva essere affidato alla
mera voce degli attori?
La dimensione del video, curato da Domenico Catano, aggiunge un
momento di linguaggio tra il televisivo
e il documentaristico. Il lavoro sulle immagini video rievoca anche i territori
trattati e crea raccordi con alcuni elementi della scena, inoltre il video mette
una vera e propria pausa all’azione degli attori, crea un clima sospeso in cui
noi stessi in scena ci fermiamo per guardare il filmato.
-Sul palco si fa un uso disinvolto della tecnologia, per quanto
riguarda la musica però hai optato per una performance dal vivo, in cui i tre
elementi dell’orchestra (pianoforte, viola e batteria) reagiscono alle emozioni
degli attori modulando la loro intensità su richiesta, a seconda dell’andatura
del racconto.
Come nasce la collaborazione con i Camera? È il primo progetto che
realizzate insieme?
Camera è un progetto che mi vede direttamente coinvolto, insieme a
Marco, Antonio e Agostino lavoriamo da diversi anni a un’idea di musica che
incontra il teatro. Con Etérnit abbiamo prodotto due lavori discografici dei
Camera. Lo spettacolo non nasce con
l’idea ferma delle musiche suonate dal vivo, è una possibilità che consideriamo
in alcune occasioni, come è stato per il tour tra Belgio e Olanda.
-Tu sei regista “uno e trino”, presente fuori e dentro la scena e
finanche nella pseudo-intervista di post produzione proiettata nel video.
I continui momenti in cui il personaggio-regista interrompe la
narrazione, dirigendo attori improvvisati presi tra il pubblico, spiegando la
psicologia del “violento” o discutendo con gli altri personaggi sulle scelte
drammaturgiche, restituiscono allo spettatore l’idea di star assistendo alla
prova generale di un’opera in fieri più che a un’esperienza compiuta. Come
motiva il regista-regista questa esigenza di ricorrere al non finito?
In TVATT i concetti di
“imprevedibile” e “interrotto” sembrano prendere il posto di “inizio” e “fine”.
Se ci pensi, le risse, le mazzate, sono un po’ così: una cena composta al
ristorante può diventare all’improvviso un circo degli schiaffi e un attimo
dopo tornare ad essere una cena al ristorante.
-Questa è la prima volta che lo spettacolo viene proposto all’estero,
quali sono le difficoltà (se ce ne sono state) che avete riscontrato nel
confronto con un pubblico straniero? Penso ad esempio alla lingua, all’uso
spinto di un italiano regionale che spesso risulta di difficile comprensione
anche per alcuni italiani. Avete in qualche modo riadattato i testi, smussando
le espressioni più oscure, o non ce n’è stato bisogno ritenendo che la musica,
la mimica e l’espressività vocale abbiano comunque reso il senso dell’opera?
La dimensione performativa dello spettacolo, specie nella parte che
coinvolge attivamente il pubblico, ci ha portati a rapportarci con un pubblico
straniero giocando proprio con la consapevolezza di questo fattore. Il dialetto
marcato vuole mettere un confine, un muro, determina un codice netto che sembra
voler dire “se non capisci non è un mio problema”; al contempo, in questo
clima, la difficoltà di farsi comprendere diventa una sfida quasi del
“personaggio”, che va a caricare la dimensione narrativa e drammaturgica fatta
appunto di gesti, immagini, suoni e musicalità del linguaggio.
-Il titolo Tvatt allude a una
specifica realtà territoriale, quella campana e provinciale, che da subito si manifesta
nel linguaggio, nelle posture e nei richiami narrativi, come se l’energia che
esplode in violenza quando la propria individualità urta con quella degli altri
potesse essere circoscritta geograficamente.
Sappiamo invece che certe dinamiche sono universali (basti solo pensare
ai banlieue francesi) e da qui parte la precisa scelta di presentare l’opera in
luoghi aperti a riflessioni culturali di ampio raggio, come La Dante di
Anversa e gli Istituti Italiani di Cultura
di Bruxelles e Amsterdam. Dovendo però pensare
anche a un altro tipo di pubblico potenziale, italiano o straniero, a chi
ritieni possa indirizzarsi la vostra pièce?
Partire da un linguaggio circoscritto per raccontare una questione
diffusa a livello globale è quello che ci interessa forse di più. Nella pièce elemento fondamentale è proprio
il feedback del pubblico, sia quando esso è più vicino alle tematiche per
questioni geografiche o personali, sia quando lo sguardo appare distaccato e
diventa quasi un’indagine antropologica. Può sembrare ovvio, anzi lo è, ma mi
piacerebbe portare TVATT in
Inghilterra, per approfondire concretamente il ponte che proviamo a creare tra TVATT e East e West.
A cura di Rossella Pensiero
Nessun commento:
Posta un commento