Il colibrì, di Sandro Veronesi
Ecco un capolavoro di narrazione e di stilismo! E la storia è tanto ricca che si potrebbero dedicare diverse tesi di laurea a questo libro.
La caratteristica più
ovvia è probabilmente l’uso di parecchi stili: messaggini, lettere,
conversazioni presentate in discorso diretto, pensieri psicologici e filosofici
del narratore. L’insieme contribuisce alla credibilità presso un pubblico del
ventunesimo secolo.
La narrazione non segue il classico ordine lineare logico-cronologico,
anzi, sebbene a volo d’uccello
il lettore assista allo sviluppo del protagonista, Marco Carrera, dalla sua
infanzia alla sua morte, nel percorso, parecchi passi tornano indietro e alla
fine, anche, anticipano il futuro. Sembra quasi come se il narratore avesse voluto offrire al lettore
i pezzi del puzzle che occorre risolvere. Così si diventa coinvolti nella
narrazione tramite la lettura. Ciononostante, è sempre il narratore onnisciente
che conduce la barca in porto.
Se per sua madre, Marco è
un colibrì a
causa della sua fragilità e della sua agilità che dunque lo caratterizzano
simultaneamente per una inferiorità ed una superiorità in rapporto ai suoi
coetanei, per Luisa, la sua amante, è una roccia di stabilità nella sua vita
tanto turbante quanto turbata.
I personaggi femminili
che stimolano Marco a oltrepassarsi sono Adele e Miraijin, rispettivamente sua
figlia e sua nipote. Si investe nella relazione con esse in un ruolo paterno
pressoché divino. In effetti, Marco è difatti indispensabile per la stabilità mentale di
Adele e, d’altra parte, si crede indispensabile perché Miraijin possa compiere
la sua missione messianica portando l’umanità a un nuovo livello evolutivo. In
giapponese, Miraijin significa proprio “uomo del futuro”. Le caratteristiche
che Marco le attribuisce prendono dimensioni mitiche e potrebbero indebolire la
credibilità del personaggio Miraijin per chi volesse leggere Il colibrì
come un romanzo psico-realistico che ovviamente non è.
Mi è venuta in mente
un’associazione forse fortuita con il personaggio Nadja dell’omonimo
romanzo surrealista di André Breton. Nadja simbolizza la speranza
dell’umanità, ma, scrive Breton, analogicamente al suo nome (Nadja è
l’abbreviazione di Nadjezda ossia la speranza in russo) ne costituisce
soltanto l’inizio. Vediamo se Miraijin saprà condurci più avanti.
Bruno Solignac
17 giugno 2021
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