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venerdì 18 giugno 2021

Il colibrì, di Sandro Veronesi, recensione del socio Bruno Solignac

 Il colibrì, di Sandro Veronesi

Ecco un capolavoro di narrazione e di stilismo! E la storia è tanto ricca che si potrebbero dedicare diverse tesi di laurea a questo libro.

La caratteristica più ovvia è probabilmente l’uso di parecchi stili: messaggini, lettere, conversazioni presentate in discorso diretto, pensieri psicologici e filosofici del narratore. L’insieme contribuisce alla credibilità presso un pubblico del ventunesimo secolo.

La narrazione non segue il classico ordine lineare logico-cronologico, anzi, sebbene a volo d’uccello il lettore assista allo sviluppo del protagonista, Marco Carrera, dalla sua infanzia alla sua morte, nel percorso, parecchi passi tornano indietro e alla fine, anche, anticipano il futuro. Sembra quasi come se il narratore avesse voluto offrire al lettore i pezzi del puzzle che occorre risolvere. Così si diventa coinvolti nella narrazione tramite la lettura. Ciononostante, è sempre il narratore onnisciente che conduce la barca in porto.

Se per sua madre, Marco è un colibrì a causa della sua fragilità e della sua agilità che dunque lo caratterizzano simultaneamente per una inferiorità ed una superiorità in rapporto ai suoi coetanei, per Luisa, la sua amante, è una roccia di stabilità nella sua vita tanto turbante quanto turbata.

I personaggi femminili che stimolano Marco a oltrepassarsi sono Adele e Miraijin, rispettivamente sua figlia e sua nipote. Si investe nella relazione con esse in un ruolo paterno pressoché divino. In effetti, Marco è difatti indispensabile per la stabilità mentale di Adele e, d’altra parte, si crede indispensabile perché Miraijin possa compiere la sua missione messianica portando l’umanità a un nuovo livello evolutivo. In giapponese, Miraijin significa proprio “uomo del futuro”. Le caratteristiche che Marco le attribuisce prendono dimensioni mitiche e potrebbero indebolire la credibilità del personaggio Miraijin per chi volesse leggere Il colibrì come un romanzo psico-realistico che ovviamente non è.

Mi è venuta in mente un’associazione forse fortuita con il personaggio Nadja dell’omonimo romanzo surrealista di André Breton. Nadja simbolizza la speranza dell’umanità, ma, scrive Breton, analogicamente al suo nome (Nadja è l’abbreviazione di Nadjezda ossia la speranza in russo) ne costituisce soltanto l’inizio. Vediamo se Miraijin saprà condurci più avanti.

 

Bruno Solignac

17 giugno 2021

 

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