Giovedì 11 maggio ho avuto il privilegio di vedere - presso
la sala teatrale all’interno dello storico edificio dedicato a iniziative di
matrice italiana sito in Rue de Livourne 38 a Bruxelles- lo spettacolo Napucalisse di Mimmo Borrelli, inserito
nella rassegna culturale dedicata alla regione Campania promossa dall’Istituto
Italiano di Cultura di Bruxelles, diretto attualmente da Paolo Grossi. Sono
rimasta letteralmente folgorata. Un fiume in piena di parole, di suoni, di carica
pura ed energia contagiosa. Una voce, la sua, che sconvolge, che diviene grido,
che lascia senza fiato e penetra il cuore. Tutto accompagnato dalle suggestive musiche
di Antonio Della Ragione che rincorrono, assecondano e fomentano l’accurata
sintassi del testo. A prendere la parola un Pulcinella vecchio e stanco, un giovane
camorrista adirato per il suo destino dannatamente segnato e il Vesuvio, fonte
di vita e al contempo arma di distruzione. Un combinazione di condizioni
disintegrate che ribollono, destinate proprio come in un vaso di pandora, a
esplodere. Borrelli, con singolare capacità istrionica, si fa viscerale
interprete di tutti i personaggi, utilizzando una lingua viva, tagliente,
icastica, fatta di metafore, assonanze, epiteti. Viene fuori un sublime pastiche linguistico, creato dalla
commistione degli innumerevoli dialetti campani. La performance -oltre a essere
vocale- è soprattutto fisica; all’interno di una scenografia spoglia si staglia
un corpo seminudo che si scuote e scuote, che trasuda rabbia, durezza, e inaspettatamente
pietà e indulgenza. Il pubblico è sedotto e conquistato, completamente
ipnotizzato.
Mimmo Borrelli e, sullo sfondo, il polistrumentista Antonio Della Ragione
Il nostro autore-attore mostra le due anime di
Napoli, vittima e carnefice, violentata e violenta, perfettamente incastrate tra
loro. Dal racconto di dolore e di protesta, di pianto e commozione traspare
un’analisi lucida e spietata dei costumi e dei princìpi dominanti nel
territorio.
Un’opera che immortala tutte le sfaccettature della
realtà, dagli stilemi del matrimonio popolare raccontati in modo caricaturale da
Pulcinella a Vesuvio, fino alla morte, unico esito possibile. È su queste amare
note che si conclude il monologo sulla città di San Gennaro: «Napule venitece
vuje, Napule a campà ccà!! Napule nun me ne fuje, Napule je schiatt ccà! Napule
rinto all’anema, Napule tumore, Napule senz’anema… Napule r’ammore». Ci si
chiede -quindi- se c’è ancora speranza di salvarsi da questo male che incancrenisce
e attanaglia. Lo spunto di riflessione è lanciato, spetta a ciascuno di noi
coglierlo, alla nostra coscienza individuale poter fornire una degna risposta.
Borrelli col suo estro creativo e con la sua
indiscussa maestria ci ha regalato un momento di estasi mistica. E sebbene uno
spettatore non campano non riesca a comprendere ogni singola parola, il
messaggio arriva, con potenza immediata, chiaro e lampante. Una pièce intensa,
drammatica, vera. Assolutamente da non perdere.
Manuela Ferraro
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