Comincio con Eva dorme di Francesca Melandri,
libro che mi è piaciuto moltissimo. Per quanto riguarda la trama non voglio
entrare nei dettagli perché non vorrei svelare ai futuri lettori il titolo
misterioso, anche se posso immaginarmi che il significato non sia subito
chiaro, com’è successo proprio a me. Invece è veramente valsa la pena aspettare un po’ finché
si rivelasse man mano durante la lettura.
Il libro è concepito come un viaggio nel tempo, viaggio
con partenza nei dintorni di Bolzano e arrivo a Reggio Calabria. È il viaggio
di Eva, figlia di Gerda, che va a trovare Vito, cioè il patrigno che per lei è
stato sempre suo padre. Quello biologico non lo ha mai conosciuto.
Una particolarità di Eva dorme che mi è veramente
piaciuta è l’aspetto storico, cioè la storia di una regione “italiana”
sconosciuta per non dire “dimenticata”. Si parla di politica, però senza P maiuscola,
non quella di partito e inoltre si parla della dinamica campagna-città, della
questione linguistica dell’Alto Adige, che sussiste tutt’ora. La scrittrice non
evita neanche argomenti tabù come l’omosessualità. Argomenti dunque abbastanza
pesanti ma descritti quasi al volo in un linguaggio – a prima vista – semplice
e molto accessibile nonostante qualche vocabolo dialettale. Il ritmo è lento,
sembra adatto all’argomento, alla cadenza di un lungo viaggio in treno. Volendo
proprio cercare un punto negativo, farei fatica a trovarne uno. Forse
all’inizio della lettura c’è stata un po’ di confusione a causa delle analessi
e dei prolessi che complicano la cronologia. In breve, è comunque un libro
affascinante che consiglio vivamente. Grazie a Eva dorme ho fatto la
conoscenza di un’altra scrittrice-giornalista altoatesina di nome Lili Gruber: Eredità
(Una storia della mia famiglia tra l’Impero e il fascismo) parla
delle stesse dinamiche di Eva dorme ma l’ha superato in più di un modo:
sia per quanto riguarda l’autenticità e la credibilità dei personaggi che per
lo stile, che considero più letterario. Poi il libro di Sebastiano Vassalli Il
confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia (Milano, Rizzoli, 2015) mi è
stato molto utile per approfondire la mia conoscenza della storia di una
regione italiana a mio parere sconosciuta a molti italiani, anche oggigiorno.
Ho anche molto apprezzato Accabadora di Michela
Murgia e L’arminuta di Donatella Di Pietrantonio. Tutti e tre i libri li
ritengo tipicamente “italiani”: non solo sono ambientati in Italia (benché non
sappiamo dove esattamente è ambientato L’arminuta) ma si riferiscono
anche a tematiche storiche o socioculturali dell’italianità.
L’arminuta e Accabadora hanno in comune il tema
dell’adozione e della povertà, però ci sono anche maggiori differenze. Maria,
la protagonista di Accabadora viene adottata (con il permesso della
madre biologica) da una donna anziana per motivi non tanto chiari all’inizio
del racconto. La madre adottiva, infatti, è un’accabadora cioè “l’ultima madre”
che offre la morte dolce ai compaesani in fin di vita. Fu un’usanza nella
Sardegna (ma non solo lì) degli anni Cinquanta.
L’accabadora parla dunque dell’eutanasia. Però comunque il libro,
visto che nel caso descritto si tratti di una persona giovane non terminale,
suscita anche la dinamica del suicidio assistito. Altra osservazione che mi è
rimasta in mente dopo la lettura è che mi sono chiesta perché la Murgia non faccia
usare all’accabadora il martello, strumento che storicamente veniva usato.
Avrebbe voluto rendere l’atmosfera un po’ meno lugubre, mantenerla più
misteriosa?
Parlando di misteri o di segreti, al contrario della
protagonista di Accabadora quella de L’arminuta, cioè “la
ritornata” non conosce i suoi genitori biologici fino al momento in cui è
costretta ad andare vivere con loro e i suoi fratelli. Di Pietrantonio descrive la confusione, il
non sapere a chi appartieni o dov’è casa tua con molta empatia. Dipinge in un
modo verace il rapporto madre-famiglia con tutti i dubbi e le incertezze
inerenti. In occasione dell’incontro al
Groene Waterman, Donatella Di Pietrantonio ci ha raccontato come scrivendo si lasci
prendere dai protagonisti dando loro la regia del romanzo. Mi ricordo la sua
affettuosa testimonianza, mi è sembrata una persona molto simpatica che - al
contrario di alcuni suoi colleghi - non si dà delle arie. Posso dunque solo
sperare che le capiti un’altra volta e che ci regali il seguito dell’Arminuta.
Donatella Di Pietrantonio al De Groene Waterman nel 2018
Per concludere, anche se fra di loro abbastanza diversi, tutti
e tre i libri mi sono piaciuti.
Ogni libro è stato una specie di viaggio immaginario verso
realtà sconosciute. Già da bambina ricorrevo alla lettura per sfuggire al
trambusto famigliare – eravamo in cinque –, abitudine che ho conservato fino a oggi:
in questi tempi di virus e di quarantena, leggere mi serve da rifugio consolatore!
Christine Leroy